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Da diversi anni si studia la relazione tra consumo di carboidrati e malattie cardiovascolari. I primi studi hanno, tuttavia, fornito dati contrastanti. Tale incertezza è stata causata dal fatto che i primi lavori prendevano in considerazione solo la quota totale di CHO, senza valutare la loro influenza sul profilo glicemico.

Quando sono stati introdotti i concetti di indice glicemico e carico glicemico nell'analisi clinica è stato possibile stabilirne una più chiara correlazione. Numerosi studi hanno quindi evidenziato che una dieta a base di carboidrati a basso indice glicemico ha effetti metabolici benefici di prevenzione alle malattie cardiovascolari. Tuttavia la risposta glicemica è influenzata non solo dall'indice glicemico ma anche dalla quantità totale di carboidrati presenti nel pasto da qui il concetto di carico glicemico (valore che si ottiene moltiplicando il valore dell’indice glicemico per il contenuto dell’alimento presente nel pasto). Il Nursy Health study (1), uno studio prospettico condotto su 75000 donne ha mostrato un’associazione positiva tra carico glicemico ed eventi cardiovascolari, soprattutto in donne obese o in sovrappeso, suggerendo che tale azione sia esacerbata dalla presenza di un insulino-resistenza, pertanto sembra opportuno ridurre il carico glicemico nella dieta al fine di ridurre il rischio cardiovascolare. Si è evidenziato inoltre che una dieta con elevato contenuto di carboidrati è associata ad una riduzione del colesterolo HDL (da 58.7 a 47.7 mg/dl) e incremento di quelli LDL (nelle donne da 116 a 123mg/dl) e dei trigliceridi (da 105 a 114mg/dl). Purtroppo negli ultimi decenni, nei paese occidentali, la quantità di carboidrati è aumentata sensibilmente oltre che per il consumo di cibi raffinati per l’aumento di zuccheri aggiunti sotto forma di dolcificanti addizionati ai cibi per renderli più palatabili e graditi al pubblico come ad esempio zucchero di barbabietola, di canna e sciroppi ad alto contenuto di fruttosio. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda, in tal senso, un’assunzione di zuccheri aggiunti < 10% delle calorie totali, e l’American Heart Association (AHA) abbassa tale quota al < 5% delle calorie giornaliere. I dati relativi alla popolazione statunitense indicano come questi carboidrati siano responsabili di oltre il 15% dell’apporto calorico globale soprattutto tra i minori.

Uno studio della Dott.ssa Miriam B.Vos e coll. (2) che ha valutato l’associazione tra questa componente alimentare potenzialmente modificabile della dieta e i parametri lipidici in 6113 adulti del NHANES, ha rilevato nella popolazione in oggetto una media di calorie derivanti dai zuccheri aggiunti pari a circa il 15,8% dell’apporto calorico complessivo. Alla luce di tutti questi dati, le linee guida raccomandano un assunzione di carboidrati con la dieta compresa tra il 45 e il 60% delle calorie totali, con una quota consistente di quelli a basso indice glicemico, contenuto che deve scendere ad un valore inferiore al 50% in caso di ipetrigliceridemia.

MARIATERESA LO CONTE

Fonte: Tessuto adiposo e rischio cardiovascolare dalla diagnosi alla terapia A. PIRONE, M. LO CONTE

(1) HUANG HL, KUNG CY,PAN CC, KUNG PT, WANG SM, CHOU WY, TSAI WC

Comparating the mortality risks of nursing professionals with diabetes and general patients with diabetes: a nationwide matched cohort study. Bmc pubblic health 2016 oct 6; 16(1):1054

(2) Welsh JA, SHARMA A, ABRAMSON JL, VACCARINO V, GILLESPIE C, VOS MB.1490-7

Caloric sweetener consumption and dyslipidemia among US adults AMA. 2010 Apr 21; 303 (15)

Immagine fonte: Network inVictus

In campo alimentare l’eterna lotta tra bene e male è rappresentata dallo scontro tra il “naturale” e il “chimico”. Gli alimenti sono costituiti da macronutrienti e micronutrienti, sostanze chimiche naturalmente presenti nella loro composizione che hanno funzioni estremamente indispensabili per il corretto svolgimento di reazioni necessarie al nostro organismo. Spesso si fa sempre più confusione tra ciò che è naturale e ciò che invece è chimico, o meglio di sintesi, e il nostro cervello, data la cattiva informazione ci porta a pensare che tutto ciò che non sia naturale sia dannoso per l’organismo. Ci sono, però, delle sostanze naturalmente presenti nella normale composizione degli alimenti che possono avere delle azioni negative per l’uomo come antinutrizionali, allergiche o produrre disturbi pressori, interferenze endocrine e intolleranze, mentre altre possono attaccare organi bersaglio come fegato e sistema nervoso centrale. Scopriamole.

 Sostanze allergeniche

Assumere alcuni alimenti può risultare pericoloso per alcuni soggetti e scatenare delle allergie o delle intolleranze. Su queste due definizioni si crea gran confusione, spesso usate erroneamente come sinonimi. Le allergie alimentari sono legate a reazioni del sistema immunitario in risposta a particolari proteine (allergeni) che vengono considerate estranee dall'organismo. Esempio può essere l'arachide. Gli allergeni dell’arachide sono identificati con le sigle Ara h 1-8, tra cui Ara h 1 e Ara h 2, considerati gli allergeni maggiori. Il potenziale allergenico dell’arachide riesce a persistere anche ai normali trattamenti di tostatura e lavorazione. L’olio di semi di arachidi, invece, ha una importante tollerabilità dai soggetti allergici, in quando durante i processi di lavorazione si riesce ad allontanare la frazione proteica. Le intolleranze alimentari non hanno a che fare con il sistema immunitario ma sono provocate dall'impossibilità o dalla difficoltà di digerire una determinata sostanza. Esempio è:  l'intolleranza al lattosio che si manifesta quando viene a mancare parzialmente o totalmente l’enzima (lattasi) in grado di scindere il lattosio (principale zucchero del latte) in galattosio e glucosio.

Sostanze tossiche naturalmente presenti negli alimenti

Le sostanze tossiche naturalmente presenti negli alimenti si possono suddividere, in base alla loro origine, in tre categorie:

  • Micotiche
  • Animali
  • Vegetali

 

Sostanze tossiche di origine micotica: Alcuni miceti come le “muffe alimentari” possono produrre delle micotossine, le quali crescono sulle derrate alimenti e possono essere ritrovate negli alimenti costituendo un pericolo per l’uomo che le ingerisce. Sulle derrate alimentari è possibile una contaminazione da specie diverse e le condizioni ambientali (climatiche e geografiche), le pratiche di coltivazione, di conservazione e il tipo di substrato alimentare possono contribuire alla crescita fungina in maniera diversa, in quanto alcuni prodotti sono più suscettibili rispetto ad altri. Bisogna ricordare che le micotossine possono essere ritrovate come metaboliti tossici o residui in prodotti alimentari derivanti da animali alimentati da mangimi contaminati, costituendo un tipo di contaminazione indiretta per l’uomo. Le micotossine sono in grado di reagire con il DNA, l’RNA, i cofattori enzimatici, le proteine funzionali e i costituenti della membrana, e sono molto resistenti al calore e non vengono distrutte dalle normali pratiche di cottura, pertanto possono persistere dopo la morte del micete ed essere presenti anche quando il prodotto non appare ammuffito.

L’impatto delle micotossine sulla salute umana dipende da diversi fattori: quantità di micotossina assunta, peso corporeo dell’individuo, fattori dietetici e presenza di altre micotossine.

A livello normativo le “micotossine” sono regolamentate a livello comunitario dal Reg. (CE) n.1881/2006 relativo ai contaminanti nei prodotti alimentari, mentre per i prodotti destinati all’alimentazione degli animali la norma di riferimento è la Direttiva 2000/32/CE.

Sostanze tossiche di origine animale: Gli organismi di origine animale pur non producendo direttamente alcuna tossina, come i pesci, né possono contenere un certo quantitativo perché arriva ad essi attraverso la catena trofica. La più conosciuta è la tetratossina del pesce palla, molto tossica e può risultare letale, infatti i primi sintomi possono comparire mezz’ora dopo l’igestione ed agisce sulla mobilità dell’individuo e morte per crisi respiratoria. Nei molluschi è conosciuta la saxitossina, un alcaloide fortemente tossico responsabile della sindrome nota come “Sindrome paralitica da molluschi bivalvi”; dopo l’ingestione possono comparire sintomi come: formicolio, parestesia alla bocca, labbra, lingua, astenia muscolare, fino alla morte entro 12 ore per paralisi respiratoria.

Sostanze tossiche di origine vegetale: l’Amanitina prodotta da funghi come Amanita Phalloides, Amanita Virosa e Amanita Verna è una tossina termostabile di natura polipeptidica che riesce ad agire sull’RNA polimerasi inibendo la sintesi proteica, gravata da elevata mortalità per epatite.

Muscarina: prodotta da Amanita Muscaria è termostabile, incolore, insapore e solubile in acqua e in alcool, attacca il sistema parasimpatico di animali, si lega ai recettori del’acetilcolina provocando lacrimazione, sudorazione profusa e bradicardia.

Sostanze antinutrizionali: in natura ci sono delle sostanze che possono interferire con l’assorbimento di alcuni nutrienti o dell’utilizzazione dei loro metaboliti.  Vediamone alcune:

Come si è potuto notare, la chimica è in tutto ciò che ci circonda, e le sostanze naturali presenti negli alimenti non sempre sono così innocue. Questa lotta tra sostanze naturali e sostanze di sintesi è come ogni paradosso: senza fine! Abbiamo gli strumenti per informarci ed evitare le bufale. Siate curiosi!

AGOSTINO PERASOLE

 

Fonti:

salute.gov.it

Alimenti, microbiologia e igiene - J.Kramer, Carlo Cantoni