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IL DUPLICE VOLTO DELLA SICUREZZA ALIMENTARE

Se vi chiedessero cosa significa per voi dire che un cibo è “sicuro”, che cosa rispondereste?

Alla maggior parte di noi il termine “sicuro” farà certamente venire in mente qualcosa di pulito, innocuo, igienicamente non contaminato, salubre, privo di elementi che possano arrecare qualche danno a chi lo ingerisce. Se questa è la prima definizione che vi sovviene, significa che l’aspetto che vi è più familiare della sicurezza alimentare è la Food Safety. In italiano però, il termine sicuro non ha solo l’accezione di “non pericoloso”, ma anche quella di qualcosa di certo, la cui disponibilità deve esserci garantita, qualcosa a cui ci assicurano di avere accesso. Questo secondo significato di sicurezza alimentare fa invece riferimento al campo della Food Security.

Quello appena fatto non è un semplice esercizio lessicale. Rappresenta invece il punto di partenza per comprendere la quasi totalità delle politiche per la gestione del cibo a livello globale. Se la lingua italiana, a dispetto della sua incredibile ricchezza terminologica, ci permette di usare un solo termine per riferirci a entrambi questi due ambiti d’azione, l’inglese questa volta ci batte, differenziando nettamente la sicurezza alimentare in “safety” e “security”.

Vediamo questi concetti più nel dettaglio.

La Food Safety ha come obiettivo la prevenzione delle malattie (o di qualsiasi altro danno) a trasmissione alimentare. I rischi che possono compromettere la Food Safety di un alimento possono essere chimici (come la presenza di allergeni non segnalati o di livelli inaccettabili di pesticidi o metalli pesanti), fisici (ad esempio la presenza di materiale estraneo, come frammenti di vetro o schegge di metallo) o microbiologici (ossia la presenza di virus o batteri patogeni o ancora tossine da essi prodotte). Quest’ultimo aspetto è sicuramente il più centrale negli sforzi per assicurare un’adeguata Food Safety. Controllare la sicurezza di qualcosa con cui ogni individuo della terra ha a che fare ogni giorno e più volte al giorno, per tutta la vita, non è affatto un’impresa da poco. I numeri che ci descrivono il peso delle malattie a trasmissione alimentare sono

eloquenti: ogni anno, una persona su 10 (che significa circa 600 milioni di persone) si ammala per aver mangiato cibo contaminato e 420 000 persone muoiono per tossinfezioni alimentari. Queste patologie colpiscono particolarmente i bambini al di sotto dei 5 anni (causando circa 125 mila decessi l’anno), soprattutto nei Paesi della Regione Africana e del Sud Est asiatico. Nella Regione europea si registra un impatto minore, anche se comunque sono più di 23 milioni le persone che ogni anno si ammalano per cibo contaminato e quasi 5000 i decessi correlati (2). In Italia, fra i maggiori responsabili di focolai di malattie trasmesse da alimenti ritroviamo: il batterio Salmonella (responsabile della Salmonellosi), il Norovirus (virus che causa gastroenteriti), il temutissimo Clostridium botulinum (che determina la grave intossicazione alimentare nota come Botulismo), il Campylobacter (batterio che porta alla Campylobatteriosi), il batterio E.coli, in particolare quello che produce la tossina “Shiga” (tecnicamente chiamato “STEC”), il temuto batterio Listeria Monocytogenes (che causa la Listeriosi, spesso derivante dal consumo di latte crudo), il virus che causa l’Epatite A, spesso diffuso a causa dell’ingestione di prodotti della pesca crudi contaminati (1). Abbiamo, quindi, capito che la Food Safety riguarda la salubrità igienico-sanitaria del nostro cibo. Ma se il cibo non c’è? Se il cibo c’è ma non posso permettermelo? Se me lo posso permettere, ma è di scarsa qualità? Ecco che entriamo nel campo della Food Security. Possiamo, infatti, affermare che esiste una Food Security quando tutte le persone, in qualsiasi momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico a cibo sufficiente, sicuro e nutriente, che soddisfi i loro fabbisogni nutrizionali e preferenze alimentari e permetta loro di condurre una vita attiva e sana. Il concetto è però ancora più complesso e riguarda anche le modalità e i mezzi con cui il cibo viene prodotto e distribuito (che devono essere sostenibili per il pianeta), la sua produzione e il suo consumo (che devono essere fondati e governati da valori sociali di giustizia ed equità, così come di morale e di etica), ma anche la sua accettabilità culturale e il rispetto della dignità umana di chi lo produce (5).

Utopico? Eppure questo è l’obiettivo che ci dobbiamo porre, o almeno, a cui dobbiamo aspirare.

La Food Security è un concetto strettamente intrecciato anche all’ecologia. Ad oggi il sistema alimentare mondiale è responsabile di circa il 21-37% delle emissioni di gas a effetto serra nel mondo(3). La produzione alimentare moderna negli anni si è basata su una sempre maggiore intensificazione dei processi, la concentrazione delle proprietà in poche mani e una risultante riduzione del prezzo al dettaglio del cibo.  I punti cardine per l'incremento della resa agricola adottati sono stati la selezione genetica delle varietà vegetali e delle razze animali, l’applicazione di nutrienti alle coltivazioni e ai mangimi animali, l’uso di prodotti fitosanitari (come pesticidi e fertilizzanti) e l'impiego di farmaci veterinari per prevenire epidemie di malattie in gruppi di animali confinati e per favorirne la crescita e la produttività. Si sono, inoltre, sempre più sviluppati modelli di coltivazione per monocoltura e aumentate le dimensioni dei campi e degli allevamenti, con una conseguente riduzione della biodiversità (5). Badare bene, proteggere la biodiversità non è solo una questione ecologica, ma anche economica: man mano che la biodiversità declina, infatti, la fornitura di cibo diventa più vulnerabile al cambiamento climatico e alla scarsità d’acqua (4).

Cruciale per la produzione alimentare è poi l'energia (sotto forma di combustibili fossili, elettricità, gas naturale, ecc.). L'energia non è necessaria soltanto per la piantagione, coltivazione e raccolta delle piante, ma anche per la trasformazione e il trasporto di mezzi come pesticidi, fertilizzanti e macchinari e per la lavorazione, confezionamento e distribuzione dei prodotti finali (5).

Un altro grande fattore che incide sull'impiego di risorse ambientali per la produzione di cibo è l'acqua. Praticamente tutte le produzioni alimentari si basano sulla coltivazione di vegetali, i quali dipendono dall'acqua. Visto, poi, che l’allevamento si basa su mangimi vegetali, ancora più acqua è richiesta per produrre carne (ecco spiegato perché negli ultimi anni si parla spesso di diete vegetariane per ridurre l’impatto ambientale del cibo) (5). La crescente standardizzazione dei cibi, volta a rendere più efficiente e funzionale il processo di produzione, distribuzione e preparazione degli alimenti, ha sì giocato un ruolo rilevante nel fornire soluzioni alimentari di più facile accesso, ma spesso a scapito di un corretto equilibrio nutrizionale. I maggiori produttori, infatti, tendono a operare su larga scala, spesso oltreoceano, in regioni con un costo relativamente basso delle terre, del lavoro o con una

scarsa tutela ambientale. Con l'avvento della globalizzazione sono perciò aumentate le distanze nei trasporti e per far ciò è stato necessario l'aumento anche della lavorazione degli alimenti, abbinato anche al maggiore uso di additivi (5).

Il punto però è che non solo la produzione del cibo ha un impatto sull’ambiente, ma anche viceversa. Molti studi hanno esaminato l’effetto dei cambiamenti climatici sulla produttività delle colture. È certo che la stabilità del rifornimento alimentare è influenzata dalla frequenza e dalla severità di eventi estremi come cicloni, inondazioni, grandinate o siccità, per non parlare di ciò che non è così improvviso ed estremo, ma lento e logorante, come la perdita di biodiversità, la desertificazione dei suoli, la degradazione ecologica, l'inquinamento di aria e acqua e l’esaurimento delle risorse naturali.

Da tutto ciò possiamo capire come la sfida di perseguire gli obiettivi della Food Security sia tutt'ora ardua. Si stima che nel 2019 quasi 690 milioni di persone fossero denutrite. Per decenni il numero di persone nel mondo che soffrono la fame è diminuito. Da circa 6 anni questa virtuosa diminuzione purtroppo si è interrotta e, anzi, ha cambiato direzione. Questo triste incremento è stato causato soprattutto dall'aumento del numero di guerre, spesso esacerbate da emergenze climatiche. Inoltre, anche nei luoghi privi di conflitti, la Food Security viene messa a dura prova dalle crisi economiche, che riducono l’accesso al cibo da parte dei più poveri. Inutile dire quanto abbia aggravato la situazione la pandemia di COVID-19. Tutto ciò ci allontana molto dall'obiettivo “Zero Hunger” degli SDGs, che ci siamo proposti di raggiungere entro il 2030, anzi si stima che in quell'anno le persone denutrite oltrepasseranno gli 840 milioni. È difficile che noi, nascosti dietro il nostro frigorifero pieno, ci pensiamo spesso: la stragrande maggioranza delle persone che soffrono la fame vive nei Paesi in via di sviluppo, in particolare nell'Africa Sub-sahariana, dove ben il 19,1% della popolazione è denutrito. Il problema è ancora più complesso. Non si tratta solo di avere abbastanza cibo, ma anche cibo nutrizionalmente adeguato e diete sane nel loro complesso. La maggior parte delle persone povere nel mondo possono sì permettersi una dieta con un apporto calorico sufficiente (poiché cibi energetici di base come tuberi e cereali hanno costi relativamente bassi), quello che non possono permettersi è una dieta sana e varia con un apporto di macro- e micro-nutrienti adeguato. Questo fenomeno è particolarmente rilevante nella regione asiatica, seguita da quella africana e da quella sudamericana-caraibica (3).

C’è sicuramente qualcosa di sbagliato nel fatto che metà del mondo non ha soldi per procurarsi il cibo e l’altra metà li spende per capire come mangiare di meno. Se risolvere questo paradosso rimane ad oggi un traguardo a dir poco complesso da raggiungere, fermarsi perlomeno a rifletterci ne rappresenta sicuramente la linea di partenza.

ELENA FERRERO

Fonti

(1) “EU summary report on zoonoses, zoonotic agents and food-borne outbreaks 2016” dicembre 2017, European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) e Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) (http://www.epicentro.iss.it/problemi/tossinfezioni/ReportEcdcEfsa2017.asp)

(2) “Estimates of the global burden of foodborne diseases” dicembre 2015, Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)

(3) “The State of Food Security and Nutrition in the World 2020. Transforming food systems for affordable healthy diets.” 2020, Roma. FAO, IFAD, UNICEF, WFP e OMS. (https://doi.org/10.4060/ca9692en).

(4) Hanning I. B., O’Bryan C. A., Crandall P. G., Ricke S. C. (2012) “Food Safety and Food Security”. Nature Education Knowledge 3(10):9 (https://www.nature.com/scitable/knowledge/library/food-safety-and-food-security-68168348)

 (5) “Food and health in Europe: a new basis for action”. WHO Regional Publications, European Series, No. 96, 2004.

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