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Quando in un’azienda si effettuano controlli sulle materie prime è perché c’è una piccolissima probabilità che possa rivelarsi la presenza di contaminazioni di vario tipo, se questa probabilità non ci fosse, non esisterebbero i responsabili qualità, gli addetti ai controlli, i laboratori di analisi alimentari e microbiologici. Nello stabilimento della Ferrero, ad Arlon, in Belgio la Salmonella è stata riscontrata, purtroppo in ritardo, in uno dei filtri posti tra un silos di buttermilk o latticello e la tubatura della linea produttiva. Dal momento delle analisi una  cascata di eventi si è verificata: i casi di salmonellosi, da dati ufficiali sono stati circa 150 attribuiti quasi tutti a bambini di età minore di 10 anni e distribuiti tra Belgio, Francia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Spagna e Svezia. Nel Regno Unito invece il  21 dicembre 2021 è stato segnalato il primo caso.

In Italia gli organi competenti al controllo non segnalano alcun caso ma EFSA e ECDC sono concordi nel rintracciare  il ceppo di Salmonella. Al momento è stata bloccata la produzione e tutto il prodotto finito che poteva essere collegato alla produzione con il lotto di materia prima  contaminato. Il serbatoio è stato svuotato e sterilizzato, Il latticello contaminato smaltito secondo le norme. Sono state effettuate le verifiche sulla nuova fornitura di materie prime e la produzione è stata riavviata normalmente. Ma dal 15 Dicembre, giorno delle prime analisi, solo il 22 Marzo le autorità Europee di salute pubblica hanno recepito e dato l’allarme bloccando le produzioni in Belgio. Ferrero ha quindi dato il via al ritiro di tutti i prodotti in commercio che potevano derivare dallo stabilimento di Arlon ed ha totalmente bloccato la produzione per tutti i prodotti. Per l’Italia il richiamo ha riguardato Schoko-bons, Kinder Sorpresa T6 Pulcini, Kinder Sopresa Maxi 100g Puffi e Miraculous. “Se avete acquistato questo prodotto non consumatelo”, è l’appello lanciato dall’azienda. L'Agenzia federale belga per la sicurezza della catena alimentare (Afsca), dopo circa 100 casi di Salmonellosi dichiarati,  ha ritirato allo stabilimento l'autorizzazione alla produzione. L'Afsca seguirà, a questo punto, gli steps dalla Ferrero per riportare l’intero stabilimento alla garanzia della sicurezza totale e solo dopo aver analizzato e controllato a tappeto, con una check list fitta e specifica tutti i punti dei layout di produzione che soddisfino gli standard di sicurezza alimentare autorizzerà la riapertura dello stabilimento di Arlon. Bisogna comunque dire che, nel caso si sia mangiato del cioccolato Ferrero contaminato, non è il caso di allarmarsi poiché non è detto che tutte le persone sviluppino la patologia. Maggiormente a rischio sono i soggetti fragili per cui bambini, donne incinte, persone ammalate e anziani. Con il caso Ferrero, abbiamo seguito le tappe di quello che è stato un vero richiamo al fine di poter garantire al consumatore la piena sicurezza. Per cui la Ferrero può essere, a mio avviso, riconosciuta come azienda responsabile e seria senza dover subire danni di immagine avendo messo a rischio proprio la propria reputazione pur di allertare il consumatore finale. L’HACCP, le certificazioni, i controlli hanno un unico fine: portare sulle tavole della gente prodotti sani.

CLAUDIA BUONOFIGLIO

Cenni storici e curiosità

Alimento prodotto principalmente con farina, acqua, sale e un agente lievitante; impastato, lievitato, formato e cotto in forno. In Medio Oriente e in Europa, l’importanza del pane è sempre stata considerevole, dal punto di vista alimentare e simbolico. Per i cristiani, nell’Eucarestia, il pane rappresenta il corpo di Cristo. Un gran numero di espressioni, inoltre, sottolinea l’importanza del pane: “guadagnarsi il pane con il sudore della fronte”, “levarsi il pane di bocca”, “buono come il pane”.

 Si narra che la scoperta del pane lievitato fu conseguenza di un fatto casuale avvenuto presso un panettiere egiziano, il quale avrebbe dimenticato per diverse ore a temperatura ambiente una pappa di cereali che, contaminata da un lievito naturale o da batteri, sarebbe fermentata e lievitata in seguito alla riproduzione dei microrganismi nella farina.

Il primo agente lievitante utilizzato dagli Egizi fu il fermento o pasta acida, ovvero una pasta lievitata il giorno prima con un lievito naturale e i batteri presenti nell’aria. Gli Egizi furono quindi i primi panificatori professionisti e, a loro, si deve anche l’invenzione del forno con la camera di combustione separata da quella di cottura.

Gli Ebrei avrebbero appreso dagli Egizi a produrre il pane lievitato e durante l’esodo, non disponendo di lievito, avrebbero creato il pane azzimo.

Successivamente i Romani adottarono i procedimenti di panificazione degli Egizi, diffondendoli poi per l’Impero.

Si racconta anche che nel III secolo a. C. i Greci fossero divenuti maestri nella panificazione e che producessero 70 tipi di pane. Furono loro probabilmente i migliori panettieri dell’antichità!

Da quest’epoca si tramanda l’uso del lievito di birra, che produce un pane leggero e gonfio.

Il pane consumato dall’aristocrazia era prodotto da farina setacciata a lungo, mentre il popolo consumava pani integrali, più semplici da preparare. Solo a partire dal Medioevo i pani cominciarono a diversificarsi.

Alla fine del XVIII secolo, negli Stati Uniti fu introdotto l’uso di una forma grezza di bicarbonato di sodio, che consentì di abbreviare i tempi di preparazione del pane. Questa polvere infatti, agisce più rapidamente del lievito grazie al calore della cottura.

A partire dal 1850 l’uso del lievito chimico si diffuse nel mondo intero.

Oggi l’industria della panificazione è molto meccanizzata, in funzione di una produzione di pane su larga scala. La fermentazione naturale della pasta (quando farina e acqua sono mantenute per un certo periodo di tempo a temperatura ambiente) è un processo lungo e imprevedibile.

Per tale motivo si è passati all’uso del fermento, una porzione di pasta fermentata cruda prelevata da una precedente panificazione. Il fermento è acido e ciò inibisce la formazione di batteri patogeni. Comunemente chiamato pasta acida, si deteriora se non viene utilizzato entro una settimana, quindi è necessario aggiungere farina e acqua se lo si vuole conservare più a lungo.

Rinfrescare la pasta acida con aggiunta di acqua e farina prima della panificazione  è un’operazione piuttosto laboriosa. Per questo motivo è stata sostituita dal più pratico lievito di birra, che agisce in modo più rapido ed è costituito da lieviti Saccharomyces cerevisiae. Il lievito è una coltura viva. Industrialmente si produce inoculando una colonia di lieviti su un terreno di coltura generalmente costituito da melassa di bietola, acqua, acido solforico, solfato di calcio, Sali di ammonio, fosfato di sodio e solfato di magnesio.

Il pane nella legislatura italiana

Per tutelare il pane, chi lo produce e chi lo consuma, in Italia la legge ne stabilisce chiaramente le caratteristiche e le eventuali denominazioni.

Negli anni del boom economico e in un periodo storico in cui l’Italia era interessata dalla ripresa e dal fiorire dell'intero sistema produttivo dopo gli anni della guerra, il Parlamento italiano promulgò la legge n.580 del 4 luglio 1967,che disciplinava la lavorazione e il commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari.

Circa trent’anni dopo fu emanato il DPR 30 novembre 1998, n. 502, recante norme per la revisione della normativa in materia di lavorazione e di commercio del pane.

Al Titolo IIIArt. 14 della Legge n.580 troviamo la definizione di pane comune, ovvero il “prodotto ottenuto dalla cottura totale o parziale di una pasta convenientemente lievitata, preparata con sfarinati di grano, acqua e lievito, con o senza aggiunta di sale comune (cloruro di sodio)”.

La legge (Art. 16) stabilisce il massimo contenuto di acqua da utilizzare all'interno delle varie ricette di pane, qualunque sia il tipo di sfarinato impiegato, ad eccezione del pane prodotto con farina integrale, per il quale è consentito un aumento del 2%:

  • pezzature sino a 70 g, max 29%
  • pezzature da 100 a 250 g, max 31%
  • pezzatura da 300 a 500 g, max 34%
  • pezzature da 600 a 1000 g, max 38%
  • pezzature oltre i 1000 g, max 40%.

Sono definiti altresì i diversi tipi di pane e le relative denominazioni di vendita:

  • il pane prodotto con farina di grano tenero tipo 00 è denominato «pane di tipo 00»;
  • il pane prodotto con farina di grano tenero tipo 0 è denominato «pane di tipo 0»;
  • il pane prodotto con farina di grano tenero tipo 1 è denominato «pane di tipo 1»;
  • il pane prodotto con farina di grano tenero tipo 2 è denominato «pane di tipo 2»;
  • il pane prodotto con farina integrale è denominato «pane di tipo integrale»;
  • il pane prodotto con semola o con semolato di grano duro, ovvero con rimacine di semola o semolato, è denominato rispettivamente «pane di semola» e «pane di semolato».

Secondo il DPR 30 novembre 1998, n. 502 nella produzione del pane possono essere impiegate farine alimentari quali orzo, farro, segale, etc., miscelate con sfarinati di grano. In tal caso il pane prenderà denominazione di “Pane al” seguito dal nome dello sfarinato caratterizzante impiegato, mentre gli altri sfarinati figureranno nell’elenco degli ingredienti.

I diversi tipi di pane - sopra descritti -, devono essere posti in vendita in scomparti o recipienti separati, recanti un cartellino con l’indicazione del tipo di pane e il relativo prezzo.

L’articolo 19 della legge n.580 individua un’altra tipologia di pane, ovvero il pane speciale e nel DPR n. 502 del 1998 sono stabiliti gli ingredienti consentiti: farina di cereali maltati, estratti di malto, alfa e beta amilasi, paste acide essiccate, farine pregelatinizzate di frumento, glutine, amidi alimentari, zuccheri.

È inoltre consentito l’impiego di materia grassa (burro, olio di oliva - escluso l'olio di sansa di oliva rettificato -, strutto), latte, fichi, olive, etc. etc.

Quando nella produzione del pane sono impiegati altri ingredienti alimentari, diversi da quelli previsti dall'articolo 14 della legge 4 luglio 1967 n. 580 e dall'articolo 3 del DPR 30 novembre 1998, n. 502, la denominazione di vendita deve essere completata dalla menzione dell'ingrediente utilizzato e, nel caso di più ingredienti, di quello o di quelli caratterizzanti. Tale pane venduto allo stato sfuso, deve essere tenuto, nei locali di vendita, in scaffali separati.

Inoltre:

  • il pane con aggiunta di sostanze grasse deve contenere non meno del 3% di materia grassa totale riferito alla sostanza secca;
  • il pane con aggiunta di malto deve contenere non meno del 4% di zuccheri riduttori, espressi in maltosio, riferiti alla sostanza secca;
  • il pane con aggiunta di zuccheri deve contenere non meno del 2% di zuccheri riduttori riferito alla sostanza secca;
  • lo strutto commestibile, ottenuto dai tessuti adiposi del suino, è designato con la sola parola strutto;

Ai pani ottenuti con sfarinati alimentari diversi da quelli di grano o miscelati con questi ultimi, nonché ai pani ottenuti con l'aggiunta di altri ingredienti alimentari (strutto, olio, etc.), si applicano le percentuali di umidità descritte nell’Art. 16 della legge 4 luglio 1967, n. 580, aumentate del 10%.

È altresì possibile immettere in vendita pane parzialmente cotto, pane surgelato e pane ottenuto mediante completamento di cottura di pane parzialmente cotto, surgelato o no.

Il pane parzialmente cotto destinato al consumatore finale deve essere contenuto in imballaggi singolarmente preconfezionati recanti in etichetta la denominazione "pane" completata dall’indicazione "parzialmente cotto" e l’avvertenza che il prodotto deve essere consumato previa ulteriore cottura e relative modalità della stessa.

Nel caso di prodotto surgelato, l'etichetta dovrà riportare le indicazioni previste dalla normativa vigente in materia di prodotti surgelati e la menzione "surgelato".

l pane ottenuto mediante completamente di cottura da pane parzialmente cotto, surgelato o non surgelato, deve essere distribuito e messo in vendita in comparti separati dal pane fresco e in imballaggi preconfezionati riportanti oltre alle indicazioni dalla normativa vigente in materia di etichettatura, anche:

  • "ottenuto da pane parzialmente cotto surgelato" in caso di provenienza da prodotto surgelato;
  • "ottenuto da pane parzialmente cotto" in caso di provenienza da prodotto non surgelato né congelato (DPR 30 novembre 1998, n. 502).

Le Legge 4 luglio 1967, n. 580 (rivista in parte con il DPR 30 novembre 1998, n. 502), stabilisce anche che:

  • il pane deve essere venduto a peso;
  • la vendita al pubblico del pane può essere esercitata solo dagli esercizi che abbiano ottenuto la prescritta licenza di commercio, nella quale la voce «pane» sia indicata in modo specifico;
  • il trasporto del pane dal luogo di lavorazione all'esercizio di vendita, deve essere effettuato in recipienti lavabili e muniti di copertura a chiusura, in modo che il pane risulti al riparo dalla polvere e da ogni altra causa di insudiciamento.
  • è vietato vendere o detenere per vendere pane alterato, adulterato, sofisticato o infestato da parassiti animali o vegetali.

È da ricordare infine, che nel 2018 il Ministro dello Sviluppo Economico - di concerto con il Ministro delle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo e il Ministro della Salute- ha emanato il Decreto interministeriale 1° ottobre 2018, n. 131 in materia di Regolamento recante disciplina della denominazione di «panificio», di «pane fresco» e dell’adozione della dicitura «pane conservato».

Il testo del DM prevede che per “panificio” si intende l’impresa che dispone di impianti di produzione di pane ed eventualmente altri prodotti da forno e assimilati o affini e svolge l’intero ciclo di produzione dalla lavorazione delle materie prime alla cottura finale.

Mentre per quanto riguarda le definizioni di «pane fresco» e «pane conservato» rimandiamo all’articolo pubblicato sulla nostra pagina il 30/07/2020. https://www.facebook.com/TuttoAlimentiConsulenza/photos/a.1283291851789612/3110351649083614/

GENÉ PAUDICE

Se vi chiedessero cosa significa per voi dire che un cibo è “sicuro”, che cosa rispondereste?

Alla maggior parte di noi il termine “sicuro” farà certamente venire in mente qualcosa di pulito, innocuo, igienicamente non contaminato, salubre, privo di elementi che possano arrecare qualche danno a chi lo ingerisce. Se questa è la prima definizione che vi sovviene, significa che l’aspetto che vi è più familiare della sicurezza alimentare è la Food Safety. In italiano però, il termine sicuro non ha solo l’accezione di “non pericoloso”, ma anche quella di qualcosa di certo, la cui disponibilità deve esserci garantita, qualcosa a cui ci assicurano di avere accesso. Questo secondo significato di sicurezza alimentare fa invece riferimento al campo della Food Security.

Quello appena fatto non è un semplice esercizio lessicale. Rappresenta invece il punto di partenza per comprendere la quasi totalità delle politiche per la gestione del cibo a livello globale. Se la lingua italiana, a dispetto della sua incredibile ricchezza terminologica, ci permette di usare un solo termine per riferirci a entrambi questi due ambiti d’azione, l’inglese questa volta ci batte, differenziando nettamente la sicurezza alimentare in “safety” e “security”.

Vediamo questi concetti più nel dettaglio.

La Food Safety ha come obiettivo la prevenzione delle malattie (o di qualsiasi altro danno) a trasmissione alimentare. I rischi che possono compromettere la Food Safety di un alimento possono essere chimici (come la presenza di allergeni non segnalati o di livelli inaccettabili di pesticidi o metalli pesanti), fisici (ad esempio la presenza di materiale estraneo, come frammenti di vetro o schegge di metallo) o microbiologici (ossia la presenza di virus o batteri patogeni o ancora tossine da essi prodotte). Quest’ultimo aspetto è sicuramente il più centrale negli sforzi per assicurare un’adeguata Food Safety. Controllare la sicurezza di qualcosa con cui ogni individuo della terra ha a che fare ogni giorno e più volte al giorno, per tutta la vita, non è affatto un’impresa da poco. I numeri che ci descrivono il peso delle malattie a trasmissione alimentare sono

eloquenti: ogni anno, una persona su 10 (che significa circa 600 milioni di persone) si ammala per aver mangiato cibo contaminato e 420 000 persone muoiono per tossinfezioni alimentari. Queste patologie colpiscono particolarmente i bambini al di sotto dei 5 anni (causando circa 125 mila decessi l’anno), soprattutto nei Paesi della Regione Africana e del Sud Est asiatico. Nella Regione europea si registra un impatto minore, anche se comunque sono più di 23 milioni le persone che ogni anno si ammalano per cibo contaminato e quasi 5000 i decessi correlati (2). In Italia, fra i maggiori responsabili di focolai di malattie trasmesse da alimenti ritroviamo: il batterio Salmonella (responsabile della Salmonellosi), il Norovirus (virus che causa gastroenteriti), il temutissimo Clostridium botulinum (che determina la grave intossicazione alimentare nota come Botulismo), il Campylobacter (batterio che porta alla Campylobatteriosi), il batterio E.coli, in particolare quello che produce la tossina “Shiga” (tecnicamente chiamato “STEC”), il temuto batterio Listeria Monocytogenes (che causa la Listeriosi, spesso derivante dal consumo di latte crudo), il virus che causa l’Epatite A, spesso diffuso a causa dell’ingestione di prodotti della pesca crudi contaminati (1). Abbiamo, quindi, capito che la Food Safety riguarda la salubrità igienico-sanitaria del nostro cibo. Ma se il cibo non c’è? Se il cibo c’è ma non posso permettermelo? Se me lo posso permettere, ma è di scarsa qualità? Ecco che entriamo nel campo della Food Security. Possiamo, infatti, affermare che esiste una Food Security quando tutte le persone, in qualsiasi momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico a cibo sufficiente, sicuro e nutriente, che soddisfi i loro fabbisogni nutrizionali e preferenze alimentari e permetta loro di condurre una vita attiva e sana. Il concetto è però ancora più complesso e riguarda anche le modalità e i mezzi con cui il cibo viene prodotto e distribuito (che devono essere sostenibili per il pianeta), la sua produzione e il suo consumo (che devono essere fondati e governati da valori sociali di giustizia ed equità, così come di morale e di etica), ma anche la sua accettabilità culturale e il rispetto della dignità umana di chi lo produce (5).

Utopico? Eppure questo è l’obiettivo che ci dobbiamo porre, o almeno, a cui dobbiamo aspirare.

La Food Security è un concetto strettamente intrecciato anche all’ecologia. Ad oggi il sistema alimentare mondiale è responsabile di circa il 21-37% delle emissioni di gas a effetto serra nel mondo(3). La produzione alimentare moderna negli anni si è basata su una sempre maggiore intensificazione dei processi, la concentrazione delle proprietà in poche mani e una risultante riduzione del prezzo al dettaglio del cibo.  I punti cardine per l'incremento della resa agricola adottati sono stati la selezione genetica delle varietà vegetali e delle razze animali, l’applicazione di nutrienti alle coltivazioni e ai mangimi animali, l’uso di prodotti fitosanitari (come pesticidi e fertilizzanti) e l'impiego di farmaci veterinari per prevenire epidemie di malattie in gruppi di animali confinati e per favorirne la crescita e la produttività. Si sono, inoltre, sempre più sviluppati modelli di coltivazione per monocoltura e aumentate le dimensioni dei campi e degli allevamenti, con una conseguente riduzione della biodiversità (5). Badare bene, proteggere la biodiversità non è solo una questione ecologica, ma anche economica: man mano che la biodiversità declina, infatti, la fornitura di cibo diventa più vulnerabile al cambiamento climatico e alla scarsità d’acqua (4).

Cruciale per la produzione alimentare è poi l'energia (sotto forma di combustibili fossili, elettricità, gas naturale, ecc.). L'energia non è necessaria soltanto per la piantagione, coltivazione e raccolta delle piante, ma anche per la trasformazione e il trasporto di mezzi come pesticidi, fertilizzanti e macchinari e per la lavorazione, confezionamento e distribuzione dei prodotti finali (5).

Un altro grande fattore che incide sull'impiego di risorse ambientali per la produzione di cibo è l'acqua. Praticamente tutte le produzioni alimentari si basano sulla coltivazione di vegetali, i quali dipendono dall'acqua. Visto, poi, che l’allevamento si basa su mangimi vegetali, ancora più acqua è richiesta per produrre carne (ecco spiegato perché negli ultimi anni si parla spesso di diete vegetariane per ridurre l’impatto ambientale del cibo) (5). La crescente standardizzazione dei cibi, volta a rendere più efficiente e funzionale il processo di produzione, distribuzione e preparazione degli alimenti, ha sì giocato un ruolo rilevante nel fornire soluzioni alimentari di più facile accesso, ma spesso a scapito di un corretto equilibrio nutrizionale. I maggiori produttori, infatti, tendono a operare su larga scala, spesso oltreoceano, in regioni con un costo relativamente basso delle terre, del lavoro o con una

scarsa tutela ambientale. Con l'avvento della globalizzazione sono perciò aumentate le distanze nei trasporti e per far ciò è stato necessario l'aumento anche della lavorazione degli alimenti, abbinato anche al maggiore uso di additivi (5).

Il punto però è che non solo la produzione del cibo ha un impatto sull’ambiente, ma anche viceversa. Molti studi hanno esaminato l’effetto dei cambiamenti climatici sulla produttività delle colture. È certo che la stabilità del rifornimento alimentare è influenzata dalla frequenza e dalla severità di eventi estremi come cicloni, inondazioni, grandinate o siccità, per non parlare di ciò che non è così improvviso ed estremo, ma lento e logorante, come la perdita di biodiversità, la desertificazione dei suoli, la degradazione ecologica, l'inquinamento di aria e acqua e l’esaurimento delle risorse naturali.

Da tutto ciò possiamo capire come la sfida di perseguire gli obiettivi della Food Security sia tutt'ora ardua. Si stima che nel 2019 quasi 690 milioni di persone fossero denutrite. Per decenni il numero di persone nel mondo che soffrono la fame è diminuito. Da circa 6 anni questa virtuosa diminuzione purtroppo si è interrotta e, anzi, ha cambiato direzione. Questo triste incremento è stato causato soprattutto dall'aumento del numero di guerre, spesso esacerbate da emergenze climatiche. Inoltre, anche nei luoghi privi di conflitti, la Food Security viene messa a dura prova dalle crisi economiche, che riducono l’accesso al cibo da parte dei più poveri. Inutile dire quanto abbia aggravato la situazione la pandemia di COVID-19. Tutto ciò ci allontana molto dall'obiettivo “Zero Hunger” degli SDGs, che ci siamo proposti di raggiungere entro il 2030, anzi si stima che in quell'anno le persone denutrite oltrepasseranno gli 840 milioni. È difficile che noi, nascosti dietro il nostro frigorifero pieno, ci pensiamo spesso: la stragrande maggioranza delle persone che soffrono la fame vive nei Paesi in via di sviluppo, in particolare nell'Africa Sub-sahariana, dove ben il 19,1% della popolazione è denutrito. Il problema è ancora più complesso. Non si tratta solo di avere abbastanza cibo, ma anche cibo nutrizionalmente adeguato e diete sane nel loro complesso. La maggior parte delle persone povere nel mondo possono sì permettersi una dieta con un apporto calorico sufficiente (poiché cibi energetici di base come tuberi e cereali hanno costi relativamente bassi), quello che non possono permettersi è una dieta sana e varia con un apporto di macro- e micro-nutrienti adeguato. Questo fenomeno è particolarmente rilevante nella regione asiatica, seguita da quella africana e da quella sudamericana-caraibica (3).

C’è sicuramente qualcosa di sbagliato nel fatto che metà del mondo non ha soldi per procurarsi il cibo e l’altra metà li spende per capire come mangiare di meno. Se risolvere questo paradosso rimane ad oggi un traguardo a dir poco complesso da raggiungere, fermarsi perlomeno a rifletterci ne rappresenta sicuramente la linea di partenza.

ELENA FERRERO

Fonti

(1) “EU summary report on zoonoses, zoonotic agents and food-borne outbreaks 2016” dicembre 2017, European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) e Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) (http://www.epicentro.iss.it/problemi/tossinfezioni/ReportEcdcEfsa2017.asp)

(2) “Estimates of the global burden of foodborne diseases” dicembre 2015, Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)

(3) “The State of Food Security and Nutrition in the World 2020. Transforming food systems for affordable healthy diets.” 2020, Roma. FAO, IFAD, UNICEF, WFP e OMS. (https://doi.org/10.4060/ca9692en).

(4) Hanning I. B., O’Bryan C. A., Crandall P. G., Ricke S. C. (2012) “Food Safety and Food Security”. Nature Education Knowledge 3(10):9 (https://www.nature.com/scitable/knowledge/library/food-safety-and-food-security-68168348)

 (5) “Food and health in Europe: a new basis for action”. WHO Regional Publications, European Series, No. 96, 2004.

Quanti di noi hanno sentito da bambini questa frase? “Bevi il latte, diventi grande e rinforzi le ossa!”. Una frase sentita e risentita. La connessione fra le ossa in buona salute e il latte era sicuramente con il calcio presente in questo meraviglioso alimento. Senza saperlo ci si approssimava un “claims” ovvero un’indicazione nutrizionale e di salute presente nel Regolamento (CE) 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari…

Il claims poteva essere: “ricco di calcio necessario al mantenimento di ossa sane“.

Quindi come abbiamo visto oltre alle indicazioni obbligatorie, l’etichetta può riportare indicazioni nutrizionali e sulla salute. Si tratta di indicazioni che attestano o suggeriscono che un alimento abbia particolari proprietà nutrizionali benefiche, alla presenza o meno di particolari nutrienti.

Il Regolamento 1924/2006, appunto, stabilisce le regole per l’utilizzo delle indicazioni nutrizionali e di salute che possono essere rivendicate sulle etichette degli alimenti e/o con la pubblicità. Lo scopo del regolamento è quello di proteggere la salute dei consumatori e renderli più consapevoli delle scelte attraverso la corretta informazione.

Indicazioni di questo tipo sono divenuto uno strumento importante nella commercializzazione e nella promozione di numero sempre maggiore di prodotti.

Vediamo alcuni CLAIMS che possiamo ritrovare in etichetta e il loro significato:

  • A basso contenuto calorico: il prodotto non contiene più di 40 kcal per 100 g se solido o 20 kcal per 100 ml se liquido
  • A ridotto contenuto calorico: l’apporto energetico è ridotto di almeno il 30%
  • Senza calorie: il prodotto ha meno di 4 kcal per 100g
  • A basso contenuto di grassi: il prodotto ha meno di 3 g di grassi per 1oog se solido o meno di 1,5 g per 100 ml se liquido
  • Senza grassi: il prodotto ha meno di 0,5 g per 100g o 100ml
  • A basso contenuto di grassi saturi: il prodotto ha meno di 1,5 g di grassi per 1oog se solido o meno di 0,75 g per 100 ml se liquido
  • Senza grassi: la somma dei grassi saturi e trans presenti è inferiore a 0,1 g per 100g o 100ml
  • A basso contenuto di zuccheri: il prodotto ha meno di 5 g di zuccheri per 1oog se solido o meno di 2,5 g per 100 ml se liquido
  • Senza zuccheri: il prodotto ha meno di 0,5 g di zuccheri per 100g o 100ml
  • Senza zuccheri aggiunti: Il prodotto non contiene zucchero o dolcificanti. Se il prodotto contiene zuccheri naturalmente sull’etichetta va riportato “contiene naturalmente zuccheri
  • Leggero o Light: il valore energetico è ridotto di almeno 30%
  • Fonte di acidi grassi omega-3: il prodotto contiene almeno 0,3 g di acido alfa-linolenico (ALA) per 100 gr o 100 kcal
  • Ricco di acidi grassi omega-3: il prodotto contiene almeno 0,6 g di ALA per 100 gr o 100 kcal
  • Ricco di acidi grassi mono- o polinsaturi: almeno il 45% degli acidi grassi presenti nel prodotto derivano dai grassi monoinsaturi/polinsaturi e a condizione che gli stessi apportino oltre il 20% del valore energetico del prodotto
  • Ricco di grassi insaturi: almeno il 70% degli acidi grassi presenti nel prodotto derivano da grassi insaturi e a condizione che gli stessi apportino oltre il 20% del valore energetico del prodotto
  • Fonte di fibre: il prodotto contiene almeno 3 g di fibre per 100 g o almeno 1,5 g di fibre per 100 kcal
  • Ad alto contenuto di fibre: il prodotto contiene almeno 6 g di fibre per 100 g o almeno 3 g di fibre per 100 kcal
  • Ad alto contenuto di proteine: almeno il 20% del valore energetico dell’alimento è apportato da proteine
  • Fonte di/ad alto contenuto di (vitamina o minerale): il prodotto contiene almeno il 15/30% della dose giornaliera raccomandata di vitamina e/o minerale
  • A tasso ridotto di (sostanza nutritiva): la riduzione del contenuto di una determinata sostanza è pari ad almeno il 30% rispetto a un prodotto simile

Infine sulla confezione possono essere presenti indicazioni per la salute, ovvero indicazioni che suggeriscano o sottintendano l’esistenza di un rapporto tra un alimento o un suo componente e la salute. Queste indicazioni possono essere riportate solo se sull’etichetta viene indicato:

  • l’importanza di una dieta sana e variata e uno stile di vita sano;
  • la quantità di alimento e le modalità di consumo necessarie ad ottenere l’effetto indicato.

Le indicazioni sulla salute possono essere di vario tipo:

  • dichiarazioni relative alla presenza di sostanze che possono contribuire a crescita, sviluppo e normali funzioni dell’organismo: ad esempio “Ricco di calcio necessario al mantenimento di ossa sane “;
  • dichiarazioni sulla diminuzione del rischio di contrarre determinate malattie grazie al consumo regolare dell’alimento: un esempio potrebbe essere “È dimostrato che i fitosteroli abbassano il livello di colesterolo nel sangue “.

Le indicazioni sulla salute sono regolamentate rigidamente, con elenchi costantemente aggiornati di indicazioni autorizzate dall’autorità preposta.

ANTHONY SCORZELLI

Cosa avranno in comune una foto di un treno merci americano e il riuscire a trattenere il respiro per più di dieci secondi la mattina? Sono solo due delle tante fantomatiche bufale che girano intorno ad un argomento serissimo: la pandemia di Covid-19. Il 31 dicembre 2019 la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan ha segnalato all'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) alcuni casi di polmonite diversa dal solito nella città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei. Da allora diverse centinaia di migliaia di persone nel mondo risultano contagiate. L’OMS in data 11 marzo 2020 ha dichiarato che la Covid-19 può essere definita pandemia. Pandemia, appunto! Nemmeno questo però ha fermato gli sciacalli del web, i ricercatori di like ad ogni costo. Nemmeno le migliaia di morti, la crisi economica, hanno fermato questi disgustosi e nauseabondi esseri dall’alimentare la disinformazione che, visto il periodo storico, era già a dei livelli dannatamente alti. Sono tante le fake news o meglio note come “bufale” che girano in questi giorni. La più incredibile di tutte riguarda una foto che sarebbe stata scattata a settembre 2019 ad un treno merci americano con la ben evidente scritta Covid-19 posta su una cisterna. Un bimbo della scuola primaria avrebbe potuto chiedere: “mamma, papà ma come è possibile che a settembre gli alberi hanno già perso le foglie?”, un adolescente avrebbe potuto, invece, chiedere: “ma se vogliono uno sterminio di massa con armi biologiche perché lo scrivono in bella vista su una cisterna di un treno merci?”. Basterebbe un minimo di logica per capire che si tratta di notizie inventate eppure, questa scempiaggine ha fatto il giro del web arrivando anche a delle persone già psicologicamente fragili, distruggendo la loro già precaria stabilità. Circola in rete e tra i gruppi WhatsApp un test per capire se si è affetti da Covid-19. Il testo di questa colossale bufala recita così: “secondo alcuni medici di Taiwan, bisogna effettuare una prova del respiro. Bisogna incamerare aria e trattenerla più per più di 10 secondi, se ci riuscite senza tossire e senza rilevare un senso di oppressione significa che non vi è nessuna fibrosi.”. È una grandissima falsità, l’unico modo per sapere se siete stati contagiati è fare il tampone. Ovviamente se non doveste riuscire a trattenere il fiato magari dovreste smettere di fumare … anche se dovreste farlo a prescindere! Ma ancora altre bufale. Il nuovo coronavirus (SARS-CoV-2) era già comparso nell'uomo? No, si tratta di un nuovo ceppo di coronavirus mai stato identificato prima nell'uomo. È vero che lavare le mani non serve a prevenire l’infezione? No, il lavaggio e la disinfezione delle mani sono la chiave per prevenire l’infezione. Bisogna quindi lavarsi le mani spesso e accuratamente con acqua e sapone. Se non sono disponibili acqua e sapone, è possibile utilizzare anche un disinfettante per mani a base di alcol. Il virus entra nel corpo attraverso gli occhi, il naso e la bocca, quindi evita di toccarli con le mani non lavate. È vero che l’alcol non è utile per disinfettare le superfici? Falso. I disinfettanti contenenti alcol sono efficaci per distruggere i virus. È vero che la candeggina non è efficace per disinfettare superfici e pavimenti? Falso. I disinfettanti a base di cloro all’1% sono in grado di disinfettare le superfici distruggendo i virus. Gli animali domestici possono trasmettere il virus? Secondo quanto confermato dall’OMS, non esiste alcuna evidenza scientifica a riprova che gli animali domestici, quali cani e gatti, possano contrarre il coronavirus Sars-Cov-2 né tantomeno trasmetterlo all'uomo. Si consiglia però di lavarsi bene le mani con il sapone dopo il contatto con gli animali, e di adottare l'abitudine come comune prassi per proteggersi da batteri come Escherichia coli e Salmonella, che possono invece essere trasmessi dagli animali all'uomo. È vero che in Russia esiste un farmaco per curare il coronavirus? Il video che sta girando sui telefonini e che in molti si trovano su Facebook condiviso da amici e parenti è una bufala. L'ennesima di questa emergenza coronavirus. Dalle sperimentazioni non sembrerebbe che queste pastiglie possano combattere la pandemia. Per questo l'OMS invita alla cautela.

Tante altre fake news vengono create e condivise tutti i giorni. Il sito del Ministero della Salute ne riporta altre alle quali non credere. Lo stesso raccomanda che per evitare di imbattersi in notizie false e pericolose per la salute, di cercare informazioni sul nuovo coronavirus e sulla malattia che provoca su fonti istituzionali ufficiali e certificate. In questo periodo circolano sul web e sui social network numerose fake news che inducono ad assumere comportamenti non corretti e inefficaci per prevenire il contagio. Se volete fare qualcosa di utile diffondete il materiale presente nel sito del Ministero della Salute o dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e ... restate a casa!

ANTHONY SCORZELLI

Il Reg. UE 2017/625, in vigore dal 14 dicembre 2019, include norme sui controlli ufficiali eseguiti su tutte le aziende di alimenti e mangimi, dai produttori primari ai rivenditori al dettaglio e ai ristoratori, ma anche su selezionatori, coltivatori, allevatori e commercianti di animali e piante.

SCOPO DEL REGOLAMENTO

  • Il regolamento stabilisce norme comuni per i controlli ufficiali dell’UE volti a garantire che la legislazione riguardante la filiera agroalimentare per la protezione della salute umana, della salute e del benessere degli animali, e della sanità delle piante sia correttamente applicata e resa esecutiva.
  • Il regolamento introduce un approccio più armonizzato e coerente ai controlli ufficiali e alle misure esecutive lungo la filiera agroalimentare e rafforza il principio dei controlli basati sul rischio.

AMBITO DI APPLICAZIONE DEL REGOLAMENTO

Il regolamento riguarda i controlli ufficiali effettuati dalle autorità nazionali incaricate dell’applicazione della legge per verificare la conformità alle norme sulla filiera agroalimentare nelle seguenti aree:

  • alimenti e sicurezza alimentare, integrità e salubrità in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione;
  • l’emissione deliberata di organismi geneticamente modificati nell'ambiente per la produzione di alimenti e mangimi;
  • mangimi e sicurezza dei mangimi in qualsiasi fase della produzione, della trasformazione, della distribuzione e dell’uso;
  • salute e benessere degli animali;
  • produzione biologica ed etichettatura di prodotti biologici.

Il regolamento riguarda inoltre le importazioni di determinati animali e merci:

  • provenienti dall’esterno dell’Unione e soggetti ai controlli ai posti di controllo frontalieri dell’UE;
  • merci vendute via Internet.

SISTEMA BASATO SUL RISCHIO

Il Reg. UE 2017/625, definisce un regime di controllo basato sul rischio, in modo che le autorità nazionali preposte all’applicazione della legge effettuino i controlli ufficiali laddove sono più necessari. In generale, per garantire la loro efficacia, i controlli ufficiali verranno effettuati senza preavviso.

COOPERAZIONE TRA I PAESI DELL’UE

Il Reg. UE 2017/625:

  • Chiarisce e rafforza le norme sulla cooperazione e l’assistenza amministrativa tra i paesi dell’UE.
  • Richiede che i paesi dell’UE garantiscano lo scambio di informazioni tra autorità nazionali e altre autorità incaricate dell’applicazione della legge, procuratori e autorità giudiziarie su possibili casi di non conformità.
  • Un sistema di gestione integrato per i controlli ufficiali integrerà tutti i sistemi informatici esistenti (e futuri) gestiti dalla Commissione.

Le autorità nazionali devono pubblicare relazioni annuali.

PRINCIPALI NOVITÀ

Le principali novità del Reg. UE 2017/625 sono le seguenti:

  • Quadro armonizzato dei controlli ufficiali nell’intera filiera agroalimentare.
  • Approccio più dinamico grazie agli atti derivati (delegati e di esecuzione) per determinare gli aspetti applicativi.
  • Controlli ufficiali sulla base del rischio.
  • Istituzione dei PCF - armonizzazione dei controlli su animali e prodotti in ingresso nell' UE.
  • Collaborazione e scambio di informazioni tra le autorità competenti, le autorità doganali e le altre autorità preposte a gestire i controlli delle partite provenienti da paesi terzi.
  • Controlli nel settore dell’e-commerce.
  • Base legale più solida contro le frodi.
  • Miglioramento dell’utilizzo degli strumenti informatici - Digitalizzazione dei controlli.

DOCUMENTI CORRELATI

Vediamo quali sono i documenti correlati al Regolamento (UE) 2017/625 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2017:

  • Regolamento di esecuzione (UE) 2019/1014 della Commissione, del 12 giugno 2019, che stabilisce norme dettagliate sui requisiti minimi dei posti di controllo frontalieri, compresi i centri d’ispezione, e per il formato, le categorie e le abbreviazioni da utilizzare per l’inserimento in elenco dei posti di controllo frontalieri e dei punti di controllo (GU L 165 del 21.6.2019, pag. 10).
  • Regolamento delegato (UE) 2019/1012 della Commissione, del 12 marzo 2019, che integra il regolamento (UE) 2017/625 del Parlamento europeo e del Consiglio stabilendo deroghe alle norme per la designazione dei punti di controllo e ai requisiti minimi per i posti di controllo frontalieri (GU L 165 del 21.6.2019, pag. 4).
  • Regolamento delegato (UE) 2019/1081 della Commissione, dell’8 marzo 2019, che stabilisce norme relative a prescrizioni specifiche in materia di formazione del personale ai fini dell’esecuzione di determinati controlli fisici presso i posti di controllo frontalieri (GU L 171 del 26.6.2019, pag. 1).
  • Regolamento di esecuzione (UE) 2019/626 della Commissione, del 5 marzo 2019, relativo agli elenchi di paesi terzi o loro regioni da cui è autorizzato l’ingresso nell’Unione europea di determinati animali e merci destinati al consumo umano che modifica il regolamento di esecuzione (UE) 2016/759 per quanto riguarda tali elenchi (GU L 131 del 17.5.2019, pag. 31).
  • Regolamento delegato (UE) 2019/624 della Commissione, dell’8 febbraio 2019, recante norme specifiche per l’esecuzione dei controlli ufficiali sulla produzione di carni e per le zone di produzione e di stabulazione dei molluschi bivalvi vivi in conformità al regolamento (UE) 2017/625 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 131 del 17.5.2019, pag. 1).
  • Regolamento delegato (UE) 2018/631 della Commissione, del 7 febbraio 2018, che integra il regolamento (UE) n. 2017/625 del Parlamento europeo e del Consiglio istituendo laboratori di riferimento dell’Unione europea per gli organismi nocivi per le piante (GU L 105 del 25.4.2018, pag. 1).
  • Regolamento di esecuzione (UE) 2018/329 della Commissione, del 5 marzo 2018, che designa un centro di riferimento dell’Unione europea per il benessere degli animali (GU L 63 del 6.3.2018, pag. 13).
  • Regolamento (UE) 2016/429 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, relativo alle malattie animali trasmissibili e che modifica e abroga taluni atti in materia di sanità animale («normativa in materia di sanità animale») (GU L 84 del 31.3.2016, pag. 1).
  • Regolamento (UE) n. 652/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che fissa le disposizioni per la gestione delle spese relative alla filiera alimentare, alla salute e al benessere degli animali, alla sanità delle piante e al materiale riproduttivo vegetale, che modifica le direttive 98/56/CE, 2000/29/CE e 2008/90/CE del Consiglio, i regolamenti (CE) n. 178/2002, (CE) n. 882/2004 e (CE) n. 396/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, la direttiva 2009/128/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, nonché il regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, e che abroga le decisioni 66/399/CEE, 76/894/CEE e 2009/470/CE del Consiglio (GU L 189 del 27.6.2014, pag. 1).
  • Regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (GU L 343 del 14.12.2012, pag. 1).
  • Regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari e che abroga le direttive del Consiglio 79/117/CEE e 91/414/CEE (GU L 309 del 24.11.2009, pag. 1).
  • Regolamento (CE) n. 1069/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale e ai prodotti derivati non destinati al consumo umano e che abroga il regolamento (CE) n. 1774/2002 (regolamento sui sottoprodotti di origine animale) (GU L 300 del 14.11.2009, pag. 1).
  • Regolamento (CE) n. 1099/2009 del Consiglio, del 24 settembre 2009, relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento (GU L 303 del 18.11.2009, pag. 1).
  • Direttiva 2008/120/CE del Consiglio, del 18 dicembre 2008, che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini (Versione codificata) (GU L 47 del 18.2.2009, pag. 5).
  • Direttiva 2008/119/CE del Consiglio del 18 dicembre 2008 che stabilisce le norme minime relative alla protezione dei vitelli (versione codificata) (GU L 10 del 15.1.2009, pag. 7).
  • Direttiva 2007/43/CE del Consiglio, del 28 giugno 2007, che stabilisce norme minime per la protezione dei polli allevati per la produzione di carne (GU L 182 del 12.7.2007, pag. 19).
  • Regolamento (CE) n. 396/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 febbraio 2005, concernente i livelli massimi di residui di antiparassitari nei o sui prodotti alimentari e mangimi di origine vegetale e animale e che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio (GU L 70 del 16.3.2005, pag. 1).
  • Regolamento (CE) n. 1/2005 del Consiglio, del 22 dicembre 2004, sulla protezione degli animali durante il trasporto e le operazioni correlate e recante modifica delle direttive 64/432/CEE e 93/119/CE e del regolamento (CE) n. 1255/97 (GU L 3 del 5.1.2005, pag. 1).
  • Direttiva 1999/74/CE del Consiglio, del 19 luglio 1999, che stabilisce le norme minime per la protezione delle galline ovaiole (GU L 203 del 3.8.1999, pag. 53).
  • Direttiva 98/58/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, riguardante la protezione degli animali negli allevamenti (GU L 221 dell’8.8.1998, pag. 23).

GIOVANNI ROMANO

È possibile consultare la versione consolidata del Reg. UE 2017/625 al seguente link: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:02017R0625-20191214&from=IT

Fonti: https://eur-lex.europa.eu/homepage.html

https://www.adm.gov.it/portale/documents/20182/5328398/Regolamento+UE_18112019.pdf/0dae80d2-9d5b-4d8a-8e35-25ce8bf6c29a

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato le linee guide per le imprese alimentari per garantire la sicurezza, lavorativa ed alimentare, in riferimento al rischio COVID-19.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato in data 7 aprile 2020 le linee guide per le imprese alimentari per garantire la sicurezza, lavorativa ed alimentare, in tempo di pandemia Covid-19.

L’intervento si è reso necessario anche alla luce delle misure che stanno adottando i diversi Paesi per contrastare l’emergenza sanitaria; in molti settori le imprese sono chiuse o operano con modalità di lavoro agile.

A differenza di molti settori in cui le imprese sono state chiuse dai governi nazionali o limitate a lavorare in modalità di smart-working, le imprese alimentari continuano ad operare perché rappresentano settori di necessità primaria o “inarrestabili”.

L’OMS, ha quindi emanato linee guida e indicazioni riguardanti le misure da intraprendere per:

  • garantire la salute dei lavoratori;
  • evitare di fermare le filiere di produzione;
  • mantenere la fiducia dei consumatori nella sicurezza e disponibilità degli alimenti.

L’industria alimentare dispone già di sistemi (FSMS Food Safety Management System – HACCP Hazard Analysis and Critical Control Points) di valutazione e gestione dei rischi per la sicurezza alimentare e di prevenzione dalla contaminazione degli alimenti, come del resto lo stesso Codex Alimentarius già fornisce elementi per implementare i controlli chiave sulla sicurezza alimentare di ogni fase di una filiera alimentare, quindi queste linee guida sono intese a consigliare, allo stato attuale della scienza e della ricerca su questo patogeno emergente e nuovo, misure efficaci a gestire il rischio di contagio sia per l’operatore sia per il consumatore.

Il COVID-19 si trasmette tramite gli alimenti?

Allo stato attuale non ci sono evidenze scientifiche che si possa contrarre infezione da Covid-19 toccando alimenti o imballaggi per alimenti.

Il contagio avviene tramite il contatto da persona a persona e attraverso il contatto diretto con i “droplets” respiratori, cioè le goccioline e l’aerosol generati da una persona infetta, quando tossisce, starnutisce o rilascia comunque parti di saliva su una superficie.
Il Coronavirus non può moltiplicarsi negli alimenti, ma solo all’interno delle cellule vitali di un essere vivente (uomo o animale).

Inoltre, le goccioline di saliva o respiratorie sono troppo pesanti per “viaggiare nell’aria”, per cui cadono per gravità su oggetti e superfici intorno al soggetto che le ha emesse, perciò il possibile contagio potrebbe essere legato al contatto delle mani con una superficie infetta e il successivo passaggio dalle mani alla bocca, al naso o gli occhi, che sono gli ingressi preferenziali del virus nel nostro corpo.

Le ultime evidenze scientifiche mostrano una sopravvivenza del Covid-19 su plastica e acciaio inossidabile (fino a 72 ore), su rame (fino a 4 ore) e sul cartone (fino a 24 ore), quindi l’industria alimentare dovrebbe necessariamente ridurre questo rischio legato a possibili operatori positivi che possano infettare superfici e materiali di imballaggio.

Le misure indicate sono:

  • uso corretto dei dispositivi di protezione individuale (DPI), quali maschere e guanti, efficaci nel ridurre la diffusione di virus e malattie;
  • misure di distanziamento fisico fra le persone (almeno un metro);
  • misure efficaci di igiene e sanificazione (intensificazione delle misure di pulizia e sanificazione lungo l’intera filiera produttiva);
  • corretto lavaggio delle mani, in ogni fase della filiera e soprattutto dopo aver usato i servizi igienici, anche se non ci sono prove di una trasmissione oro-fecale del virus.

I sintomi del COVID-19

Fondamentale in tutto questo discorso è la consapevolezza degli operatori del settore alimentare di riconoscere gli eventuali sintomi di una infezione da Covid-19 e quindi di astenersi decisamente dal recarsi a lavoro. Per operatori si intende tutti coloro che intervengono nella filiera produttiva: personale direttamente a contatto con gli alimenti o le materie prime, gli addetti alle pulizie, addetti alla manutenzione, trasportatori o addetti alle consegne, responsabili di produzione, ispettori ecc.

Compito degli OSA e dei Responsabili di gestione sicurezza alimentare e HACCP è quello di fornire formazione adeguata, anche scritta al proprio personale, che rechi indicazione dei sintomi riconosciuti peculiari di una infezione da Covid-19 conclamata cioè:

  • FEBBRE (temperatura superiore ai 37,5°C);
  • TOSSE (non solo secca, ma qualsiasi tipo);
  • RESPIRO CORTO;
  • DIFFICOLTA’ RESPIRATORIE;
  • AFFATICAMENTO;

Stranamente viene escluso uno dei sintomi più caratteristici che in questi giorni caratterizza i pazienti Covid, cioè la perdita di olfatto e gusto e questo ci fa riflettere sulla continua mutevolezza della situazione e della possibile integrazione futura di queste linee guida.

Prevenzione della diffusione di COVID-19 nell’ambiente di lavoro

Dunque chi ha sintomi e quindi ha un sospetto di infezione da Covid-19 non può presentarsi sul posto di lavoro, ma deve essere informato su come avvisare il medico ed essere seguito nella gestione della sua malattia.

Il problema più grosso rimane però quello dei soggetti asintomatici o presintomatici, cioè coloro che nonostante ospitino il virus, non abbiano alcun sintomo o ancora non lo hanno presentato e questi soggetti sono comunque molto contagiosi, perciò è fondamentale che si operi sempre e comunque in un livello di allerta elevato, applicando corrette pratiche di igiene personale e sanificazione di luoghi e attrezzature e superfici e l’uso corretto dei DPI.

Le buone pratiche igieniche del personale includono:

  • Corretto lavaggio delle mani con acqua e sapone per almeno 20 secondi (seguire i consigli dell’OMS);
  • uso frequente di disinfettanti per le mani a base alcolica;
  • buona igiene respiratoria (coprire la bocca e il naso quando si tossisce o starnutisce; smaltire i tessuti e lavarsi le mani);
  • frequente pulizia e sanificazione delle superfici di lavoro e dei punti di contatto frequenti come le maniglie delle porte;
  • evitare il contatto ravvicinato con chiunque mostri sintomi di malattie respiratorie come tosse e starnuti.

I guanti monouso

I guanti monouso anche se barriera efficace per proteggere la pelle non dispensano l’operatore dal frequente lavaggio delle mani. Assolutamente da evitare è toccarsi la bocca o il naso o gli occhi anche quando si indossano i guanti.

È importante cambiare frequentemente i guanti e lavarsi le mani ad ogni cambio e soprattutto cambiarli dopo aver svolto attività non legate agli alimenti.

L’OMS precisa che un efficace lavaggio delle mani prevede l’uso di acqua corrente calda e semplice sapone e che i disinfettanti per le mani possono essere una misura aggiuntiva efficace ma non sostitutiva del lavaggio delle mani.

Distanziamento fisico

Il distanziamento fisico è molto importante per aiutare a rallentare la diffusione di COVID-19 e le imprese alimentari dovrebbero garantirlo.

Tale distanziamento deve essere di almeno 1 metro.

Nel caso ciò sia inattuabile, per motivi legati alla filiera o alle varie lavorazioni, l’OMS consiglia di:

  • sfalsare le postazioni di lavoro su entrambi i lati delle linee di lavorazione in modo tale che i lavoratori non operino uno di fronte all'altro;
  • fornire DPI completi come maschere facciali, reti per capelli, guanti monouso, tute pulite e scarpe da lavoro anti-sdrucciolo;
  • distanziare le postazioni di lavoro, che possono richiedere una riduzione della velocità delle linee di produzione;
  • limitare il numero del personale in un’area di preparazione alimentare in qualsiasi momento;
  • organizzare il personale in gruppi o gruppi di lavoro per facilitare una ridotta interazione tra i gruppi.

Ipotesi di operatore ammalato

I programmi di prerequisiti (PRP) delle imprese alimentari dovranno includere delle linee guida per la gestione della malattia del personale nei locali dell’impresa alimentari, dalla segnalazione della malattia al ritorno al lavoro a guarigione avvenuta.

Un’adeguata ed anticipata segnalazione della malattia può impedire la trasmissione di COVID-19 nel luogo di lavoro, motivo per cui dovrebbe avvenire per telefono.

Il lavoratore che presenta sintomi da COVID-19 non deve presentarsi al lavoro e consultare un medico; nel caso in cui i sintomi compaiano sul luogo di lavoro, dovrebbe essere immediatamente isolato in un’area identificata e separata dal resto degli operatori.

In attesa del consiglio medico (secondo le linee guida nazionali per la segnalazione di casi sospetti di COVID-19) o di essere rimandato a casa, non dovrà entrare in contatto con persone o superfici. Dovrà inoltre coprire bocca e naso quando tossisce o starnutisce, smaltendo il fazzoletto di carta in un contenitore per rifiuti con coperchio o usare l’incavo del gomito, se non si disponga di fazzoletto.

Tutte le superfici con cui il dipendente infetto è entrato in contatto dovranno essere pulite con disinfettanti a base di alcool in concentrazioni del 70-80% o cloro.

Tutto il personale dovrà lavarsi accuratamente le mani per 20 secondi con acqua corrente calda e sapone dopo ogni contatto con qualcuno che non si sente bene o con sintomi compatibili con l’infezione da COVID-19.

Nel caso in cui sia confermato il contagio di un lavoratore, andranno informati tutti i “contatti stretti” perché possano adottare a loro volta le misure per ridurre al minimo l’ulteriore rischio di diffusione (quarantena a casa per 14 giorni).

Esempi di contatti nell’impresa alimentare sono:

  • qualsiasi dipendente che era in contatto diretto (faccia a faccia) o fisico (che lo abbia toccato);
  • qualsiasi operatore che si trovasse a meno di 1 metro dal caso confermato;
  • chiunque abbia pulito i liquidi corporei senza DPI adeguati (ad es. guanti, tuta, indumenti protettivi);
  • operatori dello stesso gruppo di lavoro o gruppo di lavoro del caso confermato e qualsiasi operatore che vive nella stessa famiglia di un caso confermato.

L’OMS raccomanda la quarantena per 14 giorni di coloro che sono venuti in contatto con il soggetto infetto e nel caso presentino in questo periodo di tempo i sintomi, siano trattati anche loro come casi conclamati. Coloro che non hanno avuto contatti stretti con il soggetto infetto continueranno a lavorare seguendo le norme di igiene suddette. Organizzare gli operatori in piccoli gruppi di lavoro consente proprio di minimizzare i contagi in caso di casi conclamati.

L’OMS raccomanda che un caso confermato possa uscire dall’isolamento (e quindi tornare al lavoro) quando non ci sono sintomi e con due test PCR negativi a distanza di almeno 24 ore.

Trasporto e consegna di alimenti

L’OMS fornisce indicazioni anche per la fase di trasporto e consegna di alimenti:

  • i veicoli non devono essere lasciati incustoditi durante la consegna;
  • i conducenti devono essere dotati di un disinfettante per le mani a base alcolica, un disinfettante e salviette di carta; devono disinfettare le mani prima di consegnare i documenti di consegna (d.d.t.) al personale che riceve gli alimenti;
  • devono essere utilizzati contenitori e imballaggi monouso; diversamente, devono essere implementati adeguati protocolli di sanificazione;
  • I conducenti devono mantenere un elevato livello di pulizia personale ed indossare indumenti protettivi puliti, applicando il distanziamento fisico al passaggio delle consegne;
  • I contenitori di trasporto devono essere tenuti puliti e frequentemente disinfettati;
  • Gli alimenti devono essere protetti dalla contaminazione, anche mediante separazione da altre merci.

Vendita al dettaglio di alimenti

Durante la pandemia da COVID-19 il settore della vendita al dettaglio di alimenti dovrà fronteggiare la più grande sfida nel mantenere i più elevati standard di igiene, nel proteggere i suoi operatori dal rischio di contagio, nel mantenere il distanziamento fisico quando si serve un gran numero di consumatori, nel rimanere aperto e garantire che ogni giorno cibi e bevande raggiungano i consumatori, senza carenze e senza creare mancate disponibilità di generi alimentari fondamentali al normale proseguimento della vita soprattutto in un periodo di lockdown.

Misure come il lavaggio frequente delle mani, l’utilizzo di disinfettanti per le mani e di indumenti protettivi, ed una buona igiene respiratoria ridurranno il rischio di diffusione della malattia.

I datori di lavoro dovranno sottolineare l’importanza di tali pratiche, informando il personale dei sintomi e delle pratiche da seguire, in caso di sintomi.

Il mantenimento del distanziamento fisico nei locali di vendita al dettaglio è fondamentale per ridurre il rischio di trasmissione della malattia.

L’OMS indica le seguenti misure pratiche:

  • Regolamentare il numero di clienti che entrano nel negozio al dettaglio per evitare il sovraffollamento e gli assembramenti;
  • Posizionare cartelli nei punti di ingresso per richiedere ai clienti di non entrare nel negozio in caso di malessere o con sintomi COVID-19;
  • Gestire il controllo delle code con i consigli sulla distanza fisica sia all'interno che all'esterno dei negozi;
  • Fornire disinfettanti per le mani, disinfettanti spray e salviette di carta monouso nei punti di ingresso del negozio;
  • Usare segni distintivi sul pavimento all'interno del negozio per facilitare il rispetto del distanziamento fisico, in particolare nelle aree più affollate, come banconi di servizio e casse;
  • Fare annunci regolari per altoparlante o a voce, per ricordare ai clienti di seguire i consigli di distanziamento fisico e di lavarsi le mani regolarmente;
  • Installare barriere in plexiglas davanti a casse e banconi come ulteriore livello di protezione per il personale;
  • Incoraggiare l’uso di pagamenti senza contatto;
  • Affiggere cartelli con i consigli per la pulizia delle proprie borse della spesa prima di ogni utilizzo;
  • Fornire salviette (o altre forme di sanificazione) ai clienti per pulire le maniglie dei carrelli e dei cestini della spesa oppure incaricare il personale di disinfettare le maniglie dei carrelli della spesa dopo ogni utilizzo;
  • Lavare e sanificare frequentemente gli strumenti come mestoli, tenaglie e supporti per condimenti;
  • Mantenere le porte aperte ove possibile per ridurre al minimo il contatto.

Espositori alimentari aperti in negozi di vendita al dettaglio

I consumatori devono sempre essere avvisati di lavare frutta e verdura con acqua potabile prima del consumo. Sia i clienti che il personale devono osservare rigorosamente le buone pratiche di igiene personale in ogni momento intorno alle aree di esposizione di alimenti.

L’OMS indica le seguenti misure pratiche:

  • Mantenere l’igiene frequente e la sanificazione di tutte le superfici ed utensili a contatto con gli alimenti;
  • Richiedere agli operatori di lavarsi spesso le mani e, se si usano i guanti, questi devono essere cambiati prima e dopo la preparazione del cibo;
  • Richiedere agli operatori di pulire e igienizzare frequentemente i banchi, gli utensili e i contenitori dei condimenti;
  • Rendere disponibile disinfettante per le mani per i consumatori che entrano ed escono dai locali di vendita;
  • Evitare di vendere prodotti da forno non confezionati attraverso banchi self-service. I prodotti da forno devono essere collocati in imballaggi di plastica/cellophane o carta. Se sfusi, devono essere inseriti in sacchetti utilizzando le pinze.

Le mense del personale

Le mense riservate al personale adibito ai servizi essenziali, come appunto la trasformazione e la vendita al dettaglio di alimenti, devono rimanere aperte.

Anche all’interno delle mense devono essere mantenuti elevati standards, secondo le misure indicate dall’OMS:

  • Mantenimento di distanziamento fisico di almeno 1 metro tra operatori, anche nella disposizione dei posti a sedere;
  • Maggiore arco di tempo per il servizio mensa per scaglionare l’accesso al personale;
  • Limitare il più possibile il contatto fisico non essenziale;
  • Affissione di avvisi visibili per il personale per promuovere l’igiene delle mani e l’allontanamento fisico;
  • Procedure di pulizia e sanificazione per attrezzature, locali e superfici di contatto frequente (ripiani, pinze, utensili di servizio, espositori self-service aperti, maniglie delle porte).

L’OMS continua a monitorare la situazione per ogni eventuale novità che possa comportare una integrazione delle attuali linee guida.

Diversamente, le linee guida saranno vigenti per due anni dalla pubblicazione, avvenuta il 7 aprile 2020.

MICHELE CAPPELLI

Fonte: “COVID-19 and food safety: guidance for food businesses: Interim guidance”, 7 April 2020; FAO, WHO.

L’emergenza scatenata dalla pandemia COVID-19 ci ha costretti a chiuderci in casa per proteggere la nostra salute e soprattutto per rallentare la catena di contagi, dovuti principalmente ai soggetti asintomatici, che in quanto tali circolavano liberamente senza sintomi e quindi portavano il contagio ovunque e su chiunque venisse a contatto con loro.

Le restrizioni sullo spostamento di persone o cose servono proprio a cercare di rallentare o nella più rosea delle ipotesi a fermare la diffusione dell’agente patogeno che sta cambiando la storia di tutti noi.

Quarantena per tutti quindi, tranne per casi di assoluta necessità, lavorativa, di salute o di ragionato rifornimento di cibo e bevande e generi di prima necessità.

Tralasciando le conseguenze di una prolungata permanenza forzata in casa, che si prospetta più lunga del previsto, per la maggior parte di noi tutti assolutamente nuova come esperienza, dati i ritmi e gli spostamenti giornalieri ai quali eravamo abituati fino a poche settimane fa, ci soffermiamo sulle azioni fondamentali che ognuno di noi, dovrebbe fare per scongiurare che il virus arrivi comunque nelle nostre case, rendendo vano lo sforzo fatto finora e soprattutto sulle procedure da seguire quando dobbiamo necessariamente uscire di casa per fare la spesa o per recarci al lavoro.

USCITA DA CASA

  1. INDOSSARE UNA GIACCA O ABITO A MANICHE LUNGHE: lo scopo è di coprire il più possibile la pelle perciò meglio indossare abiti o giacche con maniche lunghe ed evitare per lo stesso motivo gonne;
  • RACCOGLIERE I CAPELLI E NON INDOSSARE ORECCHINI, BRACCIALI O ANELLI: in tal modo avremo meno occasioni di toccarci il viso o meno punti in cui si possa depositare o accumulare l’agente patogeno;
  • SE SI DISPONE DI MASCHERINA, INDOSSARLA ALLA FINE, POCO PRIMA DI USCIRE: la mascherina deve chiaramente coprire naso e bocca, vie di accesso primarie per il virus e una volta indossata non va rimossa finché non si torna a casa;
  • CERCA DI NON USARE I MEZZI PUBBLICI: i mezzi pubblici rappresentano comunque un pericolo perché usarli presuppone un avvicinamento con altri soggetti in spazi delimitati;
  • SE ESCI CON IL TUO ANIMALE DOMESTICO, CERCA DI NON FARLO STROFINARE SULLE SUPERFICI ESTERNE: gli animali domestici non sono pericolosi in quanto contagiosi ma potrebbero toccare superfici dove il virus è sopravvissuto e portarlo inavvertitamente in casa o a contatto con il padrone;
  • PRENDI DELLE SALVIETTE USA E GETTA, USALE PER COPRIRE LE DITA QUANDO TOCCHI LE SUPERFICI: sicuramente l’obiettivo primario è di evitare il contatto diretto tra pelle e superficie e in mancanza di guanti monouso, le salviette possono fungere da barriera; i guanti monouso dovrebbero essere comunque sostituiti non appena si sporcano o se si lacerano;
  • ACCARTOCCIA IL FAZZOLETTO E GETTALO IN UN SECCHIO CHIUSO DELLA SPAZZATURA: la salvietta utilizzata o i guanti da sostituire vanno chiusi e accartocciati evitando il più possibile di toccare la parte che è venuta in contatto con la superficie che volevamo evitare di toccare;
  • SE TOSSISCI O STARNUTISCI, FALLO SUL GOMITO, NON SULLE MANI O IN ARIA: la potenza sprigionata da uno starnuto o da un colpo di tosse proietta nell’aria miliardi di particelle di saliva, veicolo primario del contagio, perciò regola fondamentale è sopprimere tale esplosione di aria e saliva nell’incavo interno del gomito e mai nella mano o in aria;
  • CERCA DI NON PAGARE IN CONTANTI, SE USI CONTANTI DISINFETTA LE TUE MANI: i soldi sono sporchi, ce lo dicono da quando siamo piccoli, ed è l’assoluta verità, in quanto scambiati da mano a mano, quindi se riusciamo ad evitarli, pagando con carte o bancomat è sicuramente un rischio in meno;
  1. LAVARSI LE MANI DOPO AVER TOCCATO QUALSIASI OGGETTO E SUPERFICIE O PORTARE CON SE GEL DISINFETTANTE: lavarsi le mani è da sempre l’azione principe dell’igiene personale, quindi la migliore e la più ripetibile; sicuramente raccomandabile l’uso del gel disinfettante, utilizzato con la stessa modalità di un lavaggio delle mani;
  1. NON TOCCARTI IL VISO FINCHE’ NON HAI LE MANI PULITE: non è forse la cosa che ci gridava la mamma e che noi gridiamo ai nostri figli ogni giorno? Portare una mano potenzialmente contaminata sul viso vuol dire portare in prossimità di bocca, naso e occhi (i 3 punti di entrata principale all’interno del nostro corpo) il pericolo;
  1. MANTENERE LA DISTANZA DALLE PERSONE: la misura fondamentale dall’inizio di questa crisi è la distanza interpersonale, che mai dovrebbe scendere al di sotto di un metro, distanza necessaria e fondamentale per un virus che passa da uomo a uomo;

INGRESSO IN CASA

  1. QUANDO TORNI A CASA, CERCA DI NON TOCCARE NIENTE: appena si chiude la porta dietro di noi, evitiamo di toccare oggetti o le persone con cui viviamo. Il virus sopravvive sulle superfici e sui vestiti e sulle scarpe; se ne abbiamo la possibilità creare all’ingresso una sorta di zona filtro dove vestirci e svestirci con gli abiti che usiamo per uscire;
  • TOGLITI LE SCARPE: sono a rischio sia in quanto abiti sia perché “pestano” asfalto, marciapiedi, pavimenti di luoghi affollati, bagni pubblici sul posto di lavoro e potenzialmente accumulano gli agenti patogeni presenti su tutte queste superfici;
  • DISINFETTA LE ZAMPE DEL TUO ANIMALE DOMESTICO SE E’ USCITO: come per le scarpe anche le zampe di un animale accumulano agenti patogeni presenti sul terreno e asfalto, ecc. quindi andrebbero disinfettate prima di far rientrare l’animale in casa;
  • TOGLITI GLI INDUMENTI ESTERNI E METTILI IN UN SACCHETTO PER LA BIANCHERIA: giacche, cappotti e tutto ciò che ci copre e rappresenta una barriera tra la nostra pelle e l’ambiente esterno va comunque raccolto evitando di toccare le parti esterne e racchiuso in una busta o contenitore chiuso e lavati e disinfettati (preferibilmente con candeggina ad una temperatura di 60°C);
  • LASCIA BORSA, PORTAFOGLI, CHIAVI, ECC IN UNA SCATOLA ALL’INGRESSO: tutti oggetti che ci sono serviti nell’uscita da casa e quindi potenzialmente contaminati, meglio contenerli in una scatola o contenitore chiuso, da usare solo quando usciremo di nuovo;
  • FAI LA DOCCIA, SE NON PUOI LAVA BENE TUTTE LE AREE ESPOSTE: una volta tolti gli abiti a contatto con l’esterno, farsi la doccia rappresenta il miglior “lavaggio”, altrimenti lavare almeno le parti del corpo che non erano coperte e protette dall’ambiente esterno cioè le mani, i polsi, il viso, il collo, ecc.
  • LAVARE IL TELEFONO E GLI OCCHIALI CON ACQUA E SAPONE O ALCOOL: tutti gli oggetti che comunque abbiamo portato fuori e che inevitabilmente ci serviranno anche dentro casa vanno necessariamente disinfettati, preferibilmente usando gel disinfettante o disinfettanti per superfici non aggressivi o alcool;
  • PULISCI LE SUPERFICI DI CIO’ CHE HAI PORTATO FUORI PRIMA DI RIPORLE: le superfici di tutto ciò che portiamo in casa rappresentano un pericolo, ahimè quindi, con molta pazienza dovremmo indossare un paio di guanti usa e getta e disinfettare le suddette superfici; stesso discorso per tutto ciò che arriva a casa e ci entra, tramite i domicili di cibo e bevande, gli acquisti online e i pacchi o la posta;
  • TOGLITI I GUANTI CON CURA, GETTALI VIA E LAVATI LE MANI: togliere i guanti evitando di toccare le parti esterne;
  •  
  • RICORDA CHE NON È POSSIBILE EFFETTUARE UNA DISINFEZIONE TOTALE, L’OBIETTIVO È RIDURRE IL RISCHIO: non potremo mai raggiungere una decontaminazione totale e una riduzione a zero del rischio ma almeno avremo preso le giuste contromisure per ridurre al minimo il rischio e fatto di tutto per tenere il virus fuori da casa nostra.

COESISTENZA CON LE PERSONE A RISCHIO

  1. DORMIRE IN UN LETTO SEPARATO: la distanza diventa fondamentale per ridurre il rischio di potenziale contagio, quindi dormire separati è necessario;
  • USA DIVERSI BAGNI E DISINFETTA CON CANDEGGINA: utilizzare servizi igienici diversi riduce di molto il rischio, chiaramente la pulizia del bagno diventa ancora più fondamentale ed è necessario utilizzare disinfettanti efficaci come la candeggina;
  • NON CONDIVIDERE ASCIUGAMANI, POSATE, BICCHIERI, ECC.: sarebbe meglio creare una linea distinta, quotidianamente lavata e disinfettata ed evitare assolutamente l’uso promiscuo delle suddette cose;
  • PULIRE E DISINFETTARE QUOTIDIANAMENTE LE SUPERFICI AD ALTO CONTATTO: superfici toccate più volte al giorno da tutti come interruttori, tavoli, sedie, maniglie, sportello del frigo, ecc. sono le superfici più a rischio, ragion per cui vanno quotidianamente lavate e disinfettate con spray disinfettanti o disinfettanti efficaci;
  • LAVARE VESTITI, LENZUOLA E ASCIUGAMANI MOLTO FREQUENTEMENTE: necessario lavare e disinfettare tutto ciò che entra in contatto col nostro corpo, mani, bocca, naso;
  • MANTENERE LA DISTANZA, DORMIRE IN STANZE SEPARATE: come già detto per il letto diverso, ancora meglio in stanze separate;
  • VENTILARE SPESSO LE STANZE: aprire le finestre e “cambiare l’aria”, permette sempre di diluire e ridurre la carica microbica presente in un ambiente ed è quindi un’ottima misura, soprattutto in un periodo di clausura forzata come la quarantena;
  • CHIAMA IL TELEFONO DESIGNATO SE HAI FEBBRE (>37,5°C) E DIFFICOLTA’ RESPIRATORIE: sono sintomi che ci devono chiaramente portare a chiamare immediatamente i numeri telefonici adibiti all’emergenza e seguire ciò che ci dicono, mantenendo la calma ed evitando assolutamente di uscire di casa e di toccare altre persone;
  • NON INTERROMPERE LA QUARANTENA PER 2 SETTIMANE. OGNI USCITA DI CASA È UN RESET DEL CONTATORE: la quarantena va rispettata e dura 14 giorni, perché scientificamente stabilito, perciò interromperla significa esporre al pericolo di contagio e morte altre persone; ogni interruzione della quarantena rende vani tutti i giorni passati e si riparte dal giorno 1 fino al 14.

MICHELE CAPPELLI

La domanda su quale sia la differenza tra l’attività di somministrazione e l’attività artigianale di asporto cibi. In via molto generale la differenza può essere fatta facendo riferimento ad un esempio molto comune. La somministrazione di alimenti e bevande può essere associata ad una pizzeria od a un ristorante dove si consuma sul posto, mentre l’attività artigianale per asporto cibi ad una pizzeria al taglio. Da questa prima distinzione si può notare che la differenza che salta all'occhio è il momento in cui viene consumato il cibo. La pizzeria con servizio ai tavoli è una attività di somministrazione. La pizzeria d’asporto, dove la pizza viene consumata generalmente in un altro luogo viene annoverata nelle attività artigianali, come una gastronomia da asporto. Un altro esempio di questa differenza è il bar che somministra prodotti di piccola gastronomia venduti al minuto con la ristorazione.
Nel corso del tempo tuttavia, si sono venute a creare delle situazioni in cui la somministrazione di alimenti e bevande e le attività artigianali di asporto dei cibi sono entrate, per così dire, in contrasto tra loro e spesso la differenza tra queste si è assottigliata. Voglio fare chiarezza su quali tipi di attività fanno parte della somministrazione di cibi e alimenti e quelle che possono essere comprese all'interno della categoria di attività artigianale da asporto. Partiamo dalla somministrazione di alimenti e bevande.
La somministrazione di alimenti e bevande è disciplinata dalla Legge del 25 agosto 1991 n. 287. Nell'art.1 della predetta legge viene definita la somministrazione di alimenti e bevande come: “la vendita per il consumo sul posto, che comprende tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell’esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all'uopo attrezzati”. La Legge prosegue dettando le condizioni e i requisiti che si necessitano per intraprendere l’attività di somministrazione.

TIPOLOGIA DI ESERCIZI RIENTRANTI NELL'ATTIVITÀ DI SOMMINISTRAZIONE
Il tema degli esercizi che compongono la somministrazione di alimenti e bevande sono previste anche esse dalla Legge del 1991, queste corrispondono a:
1. esercizi di ristorazione, per la somministrazione di pasti e di bevande, comprese quelle aventi un contenuto alcoolico superiore al 21 per cento del volume, e di latte (ristoranti, trattorie, tavole calde, pizzerie, birrerie ed esercizi similari);
2. esercizi per la somministrazione di bevande, comprese quelle alcooliche di qualsiasi gradazione, nonché di latte, di dolciumi, compresi i generi di pasticceria e gelateria, e di prodotti di gastronomia (bar, caffè, gelaterie, pasticcerie ed esercizi similari);
3. esercizi di cui ai numeri 1. e 2., in cui la somministrazione di alimenti e di bevande viene effettuata congiuntamente ad attività di trattenimento e svago, in sale da ballo, sale da gioco, locali notturni, stabilimenti balneari ed esercizi similari;
4. esercizi di cui al numero 2., nei quali è esclusa la somministrazione di bevande alcooliche di qualsiasi gradazione.

ATTIVITÀ ARTIGIANALI PER L’ASPORTO DI CIBO.

Ai sensi dell’art. 3 della L.443/1985 un’impresa artigiana viene identificata come tale quando: “svolge un’attività avente ad oggetto la produzione di beni, anche semilavorati, la prestazione di servizi escluse le attività agricole e le attività di prestazione di servizi commerciali, di intermediazione nella circolazione di beni o ausiliarie di queste ultime, di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, salvo il caso che siano solamente strumentali all'esercizio dell’impresa”. Un artigiano, quindi, può vendere ciò che produce in proprio. In questo caso l’artigiano non ha bisogno del possesso dei requisiti professionali, come nel caso dell’attività di somministrazione. Questo non toglie il rispetto delle norme di igiene!
In generale l’artigiano può vendere solo ciò egli produce o comunque il titolare di un’impresa artigiana può svolgere contemporaneamente anche attività commerciale e rimanere iscritto all'albo purché l’attività artigiana, in termini di tempo-lavoro, sia prevalente rispetto a quella commerciale. Nel caso di un artigiano pizzaiolo, per esempio, all'interno del suo locale egli potrà vendere solo ciò che egli ha prodotto, la pizza appunto. Nel caso voglia accompagnare la vendita della propria pizza con delle bibite che non sono di sua produzione necessiterà dell’autorizzazione commerciale con relativa autorizzazione per ciò che concerne gli alimenti o le bevande ma rimarrà sempre nel campo di applicazione della normativa sugli artigiani.
N.B. l’artigiano potrà anch'esso presentare richiesta per ipotizzabile occupazione di suolo pubblico, ma solo per panche, piante ornamentali etc. e non per suppellettili che consentano il consumo sul posto dei propri prodotti.

FRANCESCO LANDI

I dispositivi di trattamento delle acque potabili sono molto diffusi, sia nelle abitazioni private, sia nelle collettività e nei pubblici esercizi. È stata proprio la crescente attenzione del consumatore nei confronti della qualità dell'acqua da bere e da utilizzare nella preparazione dei pasti a portare alla notevole diffusione di questi sistemi.

Quando l'operatore del settore alimentare (OSA) è davvero consapevole di come funzionino i sistemi di trattamento e di come debba essere garantita la regolare manutenzione degli stessi?

Questi dispositivi sono degli affinatori delle caratteristiche sensoriali dell'acqua di rete, ma non hanno nulla a che vedere con la potabilizzazione delle acque. Pertanto, commercializzare un dispositivo del genere alludendo ad un'azione di potabilizzazione è ingannevole per il consumatore ed è perseguibile.

Il DM 25/2012 (Disposizioni tecniche concernenti apparecchiature finalizzate al trattamento dell'acqua destinata al consumo umano) si applica all'utilizzo delle apparecchiature per il trattamento dell'acqua destinata al consumo umano impiegate nelle varie fasi del ciclo lavorativo delle imprese del settore alimentare come definite dal regolamento CE n. 178/2002.

L'articolo 7 del decreto citato prevede che:

“1. Le apparecchiature devono essere installate in ambienti igienicamente idonei e, ove pertinente, nel rispetto delle disposizioni previste dal decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 gennaio 2008, n. 37, incluse quelle relative a collaudo e manutenzione. 2. L'installazione delle apparecchiature in linea all'impianto di distribuzione dell'acqua potabile deve essere realizzata con valvole di bypass per garantire all'utilizzatore la possibilità di escludere l'uso dell'apparecchiatura senza che ciò comporti interruzione del servizio di erogazione di acqua potabile”.

Quali sono i principali sistemi di trattamento?

Nel Rapporto ISTISAN 15/8 (documento a cui si rimanda per gli approfondimenti) sono elencate le principali tecnologie di trattamento conosciute e impiegate nel nostro paese. Tali tecnologie si basano sull'utilizzo di:

Filtri meccanici;

Mezzi attivi: resine a scambio ionico, carboni attivi, altre tipologie di materiali adsorbenti;

Separazione a membrana: microfiltrazione, ultrafiltrazione, nanofiltrazione, osmosi inversa;

Dosaggio prodotti chimici: disinfettanti chimici, impianti UV;

Gasatura;

Elettrodeionizzazione.

Inoltre, spesso i diversi sistemi sono combinati tra di loro per permettere contemporaneamente, ad esempio, l’addolcimento, la riduzione di alcuni contaminanti chimici e la disinfezione finale.

Ciò che l'operatore del settore alimentare deve garantire è la corretta manutenzione dell'impianto installato e la corretta informazione del consumatore.

Il DM 25/2012 affida al produttore il compito di redigere chiare e complete istruzioni, cioè una serie di operazioni periodiche, automatiche o manuali, la cui complessità e frequenza dipende non solo dalla tipologia del trattamento, ma anche da una valutazione del rischio secondo il sistema HACCP.

Tali operazioni sono affidate alle figure del “gestore” e del “manutentore” il cui livello di capacità tecnica è commisurato alla complessità dell’impianto.

Una scorretta manutenzione, la mancata sostituzione di filtri, la scarsa igiene, ecc., possono peggiorare le caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche dell'acqua, costituendo così un pericolo per la salute del consumatore.

Pertanto, il produttore dell'impianto deve redigere un manuale d'uso completo e chiaro, l'utilizzatore e il manutentore, d'altra parte, devono garantire che l'impianto funzioni correttamente.

La tenuta di un “registro di impianto” mantenuto aggiornato dal responsabile della manutenzione è uno strumento molto utile e importante per verificare la regolare esecuzione delle operazioni previste, ma anche per evidenziare eventuali difetti di funzionamento o la necessità di ulteriori azioni di manutenzione straordinaria.

Il Registro di impianto dovrebbe contenere: la scheda di impianto (informazioni logistiche: ubicazione, proprietario e responsabili, con i dati di rintracciabilità, lettura di contatori, destinazione dell’acqua fredda e/o calda, ecc.), la descrizione del sistema (schema idraulico completo e dettagliato), i rapporti di prova relativi alle analisi dell'acqua in ingresso e dell'acqua trattata (per la verifica del rispetto dei requisiti di potabilità previsti dal D.Lgs. 31/01), una sezione in cui appuntare le eventuali operazioni svolte (oppure allegare il verbale di intervento del tecnico con data e firma), i verbali delle Autorità Competenti.

Il Registro dovrebbe essere sempre conservato nei pressi dell’impianto o comunque risultare facilmente e rapidamente reperibile in caso di necessità.

Come garantire la corretta informazione al consumatore in caso di somministrazione di acqua trattata?

L'OSA che somministra, nella ristorazione pubblica e collettiva, acqua potabile sottoposta a trattamento deve informare il consumatore che si tratta di acqua potabile trattata e del tipo di trattamento effettuato (DLgs n. 181/2003, art. 13*).

Nel proprio piano di autocontrollo, inoltre, l’OSA definisce e gestisce la durata dell’utilizzabilità a fini potabili dell’acqua trattata e confezionata per uso differito, compreso l’adempimento in questi casi degli obblighi relativi all'etichettatura.

Nella scelta di un sistema di trattamento è fondamentale che l'OSA valuti attentamente i seguenti aspetti:

  1. i sistemi di trattamento devono comunque essere impiegati su acqua già potabile;
  2. se l'acqua viene utilizzata per la somministrazione la durezza non deve essere portata a valori troppo bassi, al di sotto del limite consigliato dei 15°F, come a volte avviene con alcuni sistemi di trattamento. L'abbassamento al di sotto dei 15°F è utile per gli elettrodomestici ma non per l'organismo umano, oltre a comportare il danneggiamento dei materiali con cui entra in contatto l'acqua;
  3. come già sottolineato, è fondamentale la manutenzione e il costante cambio dei filtri, aspetti importanti che hanno un costo per l'impresa.

Quest'ultimo punto, così importante, è molto legato anche alla formazione dell'OSA. Un consulente per l'igiene e la sicurezza alimentare ha il dovere di informare e sensibilizzare l'imprenditore sull'importanza di alcuni adempimenti, consapevoli dei costi che occorre sostenere.

* Le acque idonee al consumo umano non preconfezionate, somministrate nelle collettività ed in altri esercizi pubblici, devono riportare, ove trattate, la specifica denominazione di vendita "acqua potabile trattata o acqua potabile trattata e gassata" se è stata addizionata di anidride carbonica.

ROBERTA DE NOIA