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PERLE AI PORCI!

Vi ricordate di questo detto? Sappiamo tutti cosa significa: dare qualcosa di prezioso a qualcuno che non ne comprende l’estremo valore, che perciò lo consuma senza goderne del significato, lo spreca.
Ogni anno nel mondo un terzo di tutti i prodotti alimentari destinati al consumo umano - stiamo parlando di 1,3 miliardi di tonnellate (1) di cibo – viene sprecato. Avete capito bene: un terzo di tutto il cibo che produciamo finisce nella spazzatura. E non stiamo parlando di scarti non edibili, l’80% di tutto questo ben di Dio buttato sarebbe ancora consumabile (4). E poi vogliamo chiamarci homo sapiens. Se immaginare montagne di cibo inutilizzato non vi fa effetto, magari è più efficace pensarlo come cumuli di banconote bruciate. Sì, perché, in termini economici, lo spreco alimentare mondiale costa 1.000 miliardi di dollari all'anno, cifra che sale a 2.600 miliardi (2) se andiamo a considerare anche i costi “nascosti”, cioè quelli legati all'acqua e all'impatto ambientale.
Il 54% degli sprechi alimentari si verifica "a monte" della filiera (nelle fasi di produzione, raccolta e immagazzinaggio), mentre il 46% avviene "a valle" (in fase di trasformazione, distribuzione e consumo) (6): possiamo dire che gli sprechi riguardano tutti i passaggi che portano gli alimenti dal campo alla tavola e ne sono responsabili indistintamente tutti i Paesi, solo in modo differente. Nei Paesi ricchi la maggior parte degli sprechi (più del 40%) avviene a livello della distribuzione (esempi di motivi di questo assurdo spreco sono: difetti di packaging, cambi di immagine, lanci di nuovi prodotti o residui di promozioni). I consumatori ricchi non sono bravi nella pianificazione dei propri acquisti, comprano più cibo del necessario o non conoscono bene il significato della dicitura "da consumarsi preferibilmente entro", mentre standard estetici eccessivi (che però, ricordiamoci, siamo noi consumatori a influenzare con le nostre scelte) portano i rivenditori a respingere grandi quantità di cibo assolutamente commestibile. In generale, nel Nord del mondo, si crea e si compra troppo cibo, che viene spesso buttato ancor prima che si deteriori. Nei Paesi in via di sviluppo, invece, lo spreco avviene per carenza di infrastrutture, di mezzi per la conservazione e per un mancato trasporto del cibo in tempi utili. Il discorso si complica ancora se consideriamo anche la forte competizione della produzione di biocarburanti, biogas e mangimi animali con gli alimenti destinati al consumo umano (5).
Se non vi interessa del mondo intero, ma solo dell’Europa, ecco i dati: nel vecchio continente sprechiamo annualmente 88 milioni di tonnellate di cibo, l’equivalente di 143 miliardi di euro (1). Negli ultimi dieci anni, proprio nell'Unione Europea, lo spreco alimentare è stato motivo di grande dibattito in quanto causa di pesanti ripercussioni a livello economico, ambientale e sociale. Dati soprattutto i grandi danni economici, non si è stati con le mani in mano: in tutta Europa, sono al momento attive più di un centinaio di iniziative volte a contrastare la produzione di scarti alimentari. In alcuni paesi europei l’effetto positivo di tali interventi è già misurabile: in Gran Bretagna dal 2007 al 2012 vi è stata una riduzione degli scarti del 21% e in Danimarca il 19 % dei cittadini riferisce di sprecare molto meno cibo rispetto a prima dell’intervento correttivo (2).
E in Italia? Lo spreco si attesta a 2,2 milioni di tonnellate di cibo ogni anno, che equivale a un costo complessivo di 8,5 miliardi di euro (i nostalgici faranno presto l’equivalenza in vecchie lire): stiamo parlando dello 0,6% del PIL (3)! Da sottolineare come nel nostro Paese, gli sprechi a livello domestico siano i più consistenti (42% del totale) (4). Anche nel bel paese siamo corsi ai ripari: dal 2016 è in vigore la legge Gadda (n. 166/2016) "Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi", che prevede semplificazioni burocratiche e sgravi fiscali a favore di chi dona cibo per fini di solidarietà. Inoltre, per sensibilizzare le famiglie italiane al tema, il Ministero dell’Ambiente ha realizzato un decalogo di comportamenti che ogni nucleo familiare può attuare quotidianamente per ridurre gli sprechi alimentari (che potete vedere efficacemente riassunto nell'immagine). I risultati sono già visibili: se nel 2016 si stimava uno spreco di cibo di 145 kg a famiglia e 63 kg a persona, oggi l’entità di questo comportamento è scesa a 84 kg a famiglia e 36 kg a persona (3).

Sprecare il cibo che produciamo è un paradosso inaccettabile per numerosi motivi. Sappiamo ormai tutti che la popolazione mondiale sta crescendo molto velocemente e che sarà necessario nei prossimi decenni incrementare la produzione alimentate del 60-70% per avere cibo a sufficienza per tutti: ebbene, è stato stimato che si potrebbero coprire tre quinti di tale aumento semplicemente smettendo di sprecare cibo (4).
Il valore etico dietro l’aborrire lo spreco alimentare è senz'ombra di dubbio il più importante, ma a ben vedere sembra essere quello che attualmente smuove meno le coscienze. Ci sono, ad oggi, 870 milioni (6) di persone al mondo che soffrono la fame (cerchiamo di immaginarle però queste persone, come esseri umani e non come numeri) e si stima che se fosse possibile recuperare tutti gli sprechi alimentari, si potrebbero sfamare 2 miliardi di individui sul pianeta.

Sull’aspetto ecologico, emblematica è una delle frasi che possiamo leggere nel sito One Planet Food del WWF, dedicato a questo tema: “Un cibo che non nutre nessuno non solo è inutile, ma è anche dannoso. Con il cibo buttato vengono, infatti, sprecati anche la terra, l’acqua, i fertilizzanti - senza contare le emissioni di gas serra – che sono stati necessari per la sua produzione e l’ambiente è stato quindi inquinato, sfruttato o alterato invano. Ridurre lo spreco di cibo significa anche salvare il Pianeta”. Per produrre 1 kg di cibo si emettono mediamente 4,5 kg di CO2. Da qui i calcoli sono presto fatti: 89 milioni di tonnellate di cibo sprecate in Europa vogliono dire 170 milioni di tonnellate di CO2eq emesse ogni anno per nulla (4). Ambientalisti, aguzzate le antenne: si stima che agli sprechi alimentari sia imputabile circa il 5% delle emissioni che causano il riscaldamento globale e il 20% della pressione sulla biodiversità. Il consumo di risorse idriche per produrre il cibo poi sprecato è di circa 250 km3 (l’equivalente del flusso annuale del fiume Volta) e ben il 30% della terra impiegata a fini agricoli è usata per produrre cibo che non verrà mai consumato (6).

Il primo passo per frenare questa condotta paradossale è rispettare il cibo, attribuendogli il giusto valore. Non c’è nulla di meno superfluo del pane quotidiano, eppure non sappiamo più considerarlo essenziale.

Ricordiamoci che si tratta di un bene prezioso, prima che diventi un bene raro.

ELENA FERRERO

Fonti

  1. https://ec.europa.eu/italy/news/20170929_ue_fao_contro_sprechi_alimentari_it
  2. http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=4661&area=nutrizione&menu=ristorazione
  3. https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-02-05/spreco-alimentare-l-italia-migliora-ma-butta-via-ancora-06percento-pil-all-anno-113959.shtml?refresh_ce=1
  4. http://www.oneplanetfood.info/sprechi-alimentari
  5. https://www.slowfood.com/sloweurope/it/i-temi/food-waste/
  6. http://www.fao.org/news/story/it/item/196458/icode/

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