Skip to content

Gonfiore confezione di carne bovina sottovuoto: diagnosi del difetto

I grandi tagli di carne bovina confezionati in pellicola plastica sotto vuoto, oggetto del difetto, hanno una vita commerciale di 60 giorni, ma già a distanza di 15-20 giorni dopo il confezionamento un occhio esperto è in grado di rilevare un progressivo distacco della pellicola plastica dalla carne (come se la confezione stesse perdendo il vuoto) e la comparsa di fini bollicine di gas nel liquido trasudato che normalmente si raccoglie agli angoli della confezione.
Per riuscire a formulare una “diagnosi” del difetto bisogna inquadrare natura e
dinamica di popolazione della flora microbica che caratterizza i tagli di carni bovina confezionati in pellicola plastica sotto vuoto.


La microflora delle carni fresche confezionate sotto vuoto è condizionata, in origine, dalla flora microbica che si accumula sui tagli nel corso della loro lavorazione. A sua volta, il tipo e la carica della flora microbica presente sulla superficie di una carne bovina fresca dipendono dagli accorgimenti igienici messi in atto durante la macellazione dei bovini e nelle successive fasi del sezionamento, quelle che chiamiamo Buone Prassi di Lavorazione o Good Hygienic Practices (GHP).
È un dato di fatto che lo stesso taglio di carne messo in cella frigorifera a 0°-4°C in aria libera può mantenersi perfetto, come caratteristiche sensoriali, per 5-7 giorni, mentre se viene confezionato sotto vuoto può mantenere invariate le sue normali caratteristiche sensoriali anche per 3-5 mesi. È ben noto agli addetti ai lavori che oggi importiamo tagli di carne bovina fresca confezionati sotto vuoto da Brasile, Argentina, Paraguay e Sudafrica; a queste carni i produttori esteri danno anche 5 o 6 mesi di vita commerciale.

Su cosa si fonda questo forte aumento della vita commerciale (shelf-life) delle carni confezionate sotto vuoto rispetto a quelle mantenute refrigerate in “aria semplice”?
Durante la macellazione sulla superficie della carcassa, dopo scuoiamento, inizia a raccogliersi una flora microbica composita formata da batteri, da lieviti e da muffe (in misura più modesta). Tanto più alto è il livello di igiene mantenuto in macellazione, tanto più bassa sarà la Carica Microbica Totale (CMT) che si riscontra a fine catena di macellazione sulla superficie delle carcasse. Per dare qualche valore indicativo, in condizioni normali si può andare da CMT <10^3 ufc/cm2 a CMT >10^6 ufc/cm2.
Il 40-50% della flora batterica è formato da batteri Gram negativi di origine enterica (enterobatteri totali e coliformi) e da una ridotta quota di Pseudomonadacee che derivano dalle pratiche di lavoro. Il restante 50-60% della microflora è formato da batteri Gram positivi quali micrococchi e stafilococchi, coryneformi, batteri lattici di vario genere, Bacillus e Clostridium (questi ultimi presenti sulle carni per lo più sotto forma di spore).

La componente Gram positiva è metabolicamente molto meno alterante di quella Gram negativa.
Le carcasse sono poste a raffreddare e a frollare in cella frigorifera a 0°-4°C; la flora microbica raccoltasi sulla superficie delle carcasse inizia a cambiare e si modella in base alle condizioni ambientali che si sono create. Cominciano a prendere il sopravvento le specie batteriche più psicrotrofe, capaci di duplicare anche se la temperatura ambientale è inferiore ai 4°C. Gli enterobatteri, i coliformi, i batteri lattici e le stesse bacillacee, invece, restano silenti e non moltiplicano sia perché sono batteri tendenzialmente mesofili sia perché molti di essi preferiscono condizioni di anaerobiosi più o meno completa.
Se le carni sono mantenute in cella frigorifera esposte all’aria, il loro destino è quello di andare in putrefazione nel giro di pochissimi giorni, per effetto di un’eccessiva proliferazione di Pseudomonas e specie simili, aerobie strette e adatte a crescere a temperatura di refrigerazione. Questi batteri sono capaci di sintetizzare vari enzimi, che scindono le proteine e il glucosio delle carni producendo composti aromatici sgradevoli e anche pigmenti anomali, quando la loro carica supera le 10^6 ufc/cm2.

Volendo rallentare lo scadimento microbico delle carni fresche e aumentarne la shelflife, una strategia vincente è quella di confezionare le carni in pellicola plastica sotto vuoto. Così facendo, a ridosso della carne si crea una condizione di anaerobiosi più o meno spinta, secondo la tecnologia di confezionamento adottata.
Il passaggio da aerobiosi ad anaerobiosi si riflette sulla dinamica della microflora
presente sulle carni. Le pseudomonadacee, le muffe e i lieviti sono microrganismi nettamente aerobi, nel giro di pochi giorni dopo il confezionamento essi consumano quel po’ di ossigeno rimasto all’interno della busta così facendo, si mettono essi stessi nelle condizioni di non potere più duplicare.
L’anaerobiosi favorisce, invece, i batteri lattici, i Clostridium e gli enterobatteri, ma questi tre gruppi batterici non partono tutti con le stesse chances di crescita. Le carni sono in fase di frollatura e quindi hanno un valore di pH piuttosto acido (mediamente intorno a 5,4-5,6). Questo sfavorisce gli enterobatteri e i Clostridium che amano valori di pH più neutri e favorisce la crescita dei batteri lattici. Questi ultimi iniziano a fermentare il glucosio e aumentano di carica, producendo acido lattico e favorendo, quindi, il blocco della crescita dei microrganismi alteranti. Questo giustifica perché in una carne confezionata sotto vuoto è normale rilevare una CMT anche molto elevata (può arrivare a oltre 10^6 ufc/g di carne senza che le carni manifestino alcuno problema sensoriale né igienico-sanitario) perché i batteri lattici, in genere, non sono
degli spiccati alteranti come lo sono gli enterobatteri.
Una volta che la carica dei batteri lattici si è stabilizzata, essi finiscono per trovarsi in difficoltà per avere esaurito quel po’ di glucosio che era presente nelle carni appena confezionate. Per continuare a sopravvivere, quindi, i batteri lattici iniziano a metabolizzare i peptidi e altri composti azotati semplici che si sviluppano dalle reazioni di frollatura. Ciò porta alla produzione di urea e composti ammoniacali; il pH delle carni inizia a spostarsi verso l’alcalino e quando il pH supera 5,8 il substrato diventa favorevole alla moltiplicazione degli enterobatteri e/o dei Clostridium, entrambi gasogeni e in grado di causare putrefazione delle carni.

Fonte: Formazione Veterinaria

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *