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Fino allo scorso 16 settembre, per poter esportare merce destinata all’alimentazione umana negli Stati Uniti d’America, bastava collegarsi al sito FDA (Food and drug administration) americano (www.fda.gov), registrare la propria azienda ed i propri importatori sul database dello stesso sito governativo e proseguire alla compilazione della fatidica Prior Notice. Dopo qualche ostacolo non risultava poi così difficile riempire questa pseudo packing list pre-spedizione e ottenere la documentazione per la spedizione della merce in America.

Tutto questo sistema resta  invariato, con la speranza che la nuova amministrazione Trump e la relativa squadra non pongano limiti ulteriori, cambiano però i requisiti di base.

Infatti, dallo scorso 16 Settembre, le aziende del settore alimentare che intendano esportare in USA sono tenute, come le stesse aziende importatrici americane, ad  adeguarsi alla nuova regolamentazione a cui è stato dato il nome di FSMA (Food Safety Modernization Act) azione di  ammodernamento della sicurezza alimentare. (Legge dal 4 Gennaio 2011)

Non sono soggette a cambiamenti le aziende già soggette a U.S. FDA Food Canning Establishment (FCE) Registration and Process Filings (SID) registrazioni per prodotti che vanno richieste prima dell’esportazione e per le quali è doveroso rispondere a delle check list molto specifiche.

Le date per le quali bisogna mettersi in regola variano a seconda delle dimensioni delle aziende:

  • Requisito generale FSMA: entro il 26 Settembre 2016.
  • Aziende alimentari con meno di 500 addetti: entro il 30 Settembre 2017;
  • Produttori alimentari con meno di 1 milione di Dollari di vendite annue entro il 30 Settembre 2018.

È comunque consigliabile, per una serie di dubbi che potrebbero insorgere a chi effettua i controlli, mettersi in regola in tempo per la prima esportazione per gli USA dopo l’entrata in vigore di queste leggi. Inoltre va detto che l’ente, l’azienda, la compagnia importatrice è a tutti gli effetti responsabile di ciò che gli USA importeranno in dogana, per cui molti importatori si stanno attivando per effettuare audit privati presso i fornitori esteri per essere sicuri di promuovere il nuovo regolamento e non imbattere in sanzioni e blocco dei permessi di importazione.

Ciò che succede in pratica è che le aziende esportatrici dovranno adeguare i manuali HACCP aziendali alle nuove procedure di prevenzione emanate dall’FDA e definite dall’ente ad esso collegato: l’FSPCA (Food Safety Prentive Control Allianc). Tale adeguamento dell’HACCP in H.A.R.P.C (Hazard Analysis and Risk-Based Preventive Controls) però, non potrà essere a cura di un consulente qualsiasi, ma di una persona riconosciuta idonea dallo stesso FSPCA.

I consulenti aziendali che si occupano, quindi, di HACCP, sicurezza alimentare, certificazioni estere, possono inviare all’FDA un curriculum vitae in inglese e aspettare che gli venga concessa l’idoneità. Se ciò avvenisse, l’operatore sarebbe inserito in un database governativo come consulente idoneo.  Se così non fosse, l’FSPCA da la  possibilità di effettuare corsi di formazione  nel proprio paese d’origine.  La Food Safety Prentive Control Alliance ha infatti stabilito forme di collaborazione con Enti di controllo europei che potranno effettuare corsi privati per la “produzione” della figura professionale di  PCQI: Preventive Control Qualified Individual il quale avrà la responsabilità di redigere ed attuare il Food Safety Plan aziendale secondo la normativa FDA. Al termine del corso si ottiene, pertanto,  dal  lead instructor qualificato FSPCA un certificato grazie al quale il consulente sarà iscritto al già citato database di Preventive Control Qualified Individuals.

In  conclusione si può ancora dire che se l’azienda esportatrice è un’azienda ben organizzata e ben gestita, non è poi così drammatico mettersi in regola e effettuare l’evoluzione dell’HACCP in HARPC, si tratta,  di implementare qualche procedura di gestione del rischio, di ampliare le vedute se l’azienda ne abbia bisogno e di integrare i documenti anche con copie in lingua inglese.

Attendere l’audit dell’importatore o del controllo governativo americano pertanto continuare a lavorare nel rispetto delle leggi europee che non sono meno esigenti di quelle americane.

Per cui, come in tutti i cambiamenti sarà un ottimo spunto per migliorare la comunicazione e lo scambio in altre latitudini e fare del commercio e dell’esportazione alimentare un porto sicuro.

CLAUDIA BUONOFIGLIO

La questione "fornitori" è sempre stata un punto dolente per molte imprese del settore alimentare.

La gestione spesso si presenta difficoltosa, poco attuabile, fumosa e legata strettamente al potere contrattuale esercitato dalle aziende.

Ahinoi il processo di gestione dei fornitori sta acquisendo sempre più rilevanza a causa del diffondersi di certificazioni come BRC-IFS, FSSC 22000, etc., che richiedono e impongono oculatezza e criteri razionali nella selezione e qualifica dei fornitori.

I fornitori possono essere distinti in due macrocategorie:

  • fornitori di servizi;
  • fornitori di materie prime e imballaggi.

Per la seconda categoria (non tratteremo in questa sede dei fornitori di servizi), la procedura di gestione può articolarsi nel seguente modo:

1) selezione;

2) qualifica;

3) monitoraggio e mantenimento.

 

  1. La fase di selezione può essere attuata mediante la valutazione di alcuni parametri, come:
  • storicità del fornitore;
  • ordini di prova (prove funzionali);
  • presenza di certificazioni di terza parte (in particolare quelle legate alla qualità e sicurezza del prodotto alimentare);
  • risultati di audit condotti direttamente presso gli impianti del fornitore;

 

La scelta del criterio di selezione più appropriato porterà naturalmente a una valutazione più efficace e coerente del fornitore.

La scelta del parametro di selezione deve essere subordinata a una valutazione del rischio per materia prima o tipologia merceologica della stessa.

La valutazione del rischio viene condotta tenendo conto di alcuni fattori come:

  • contaminazione da corpi estranei;
  • contaminazione microbiologica;
  • contaminazione chimica;
  • contraffazioni o frodi;
  • contaminazione da allergeni.

Per la valutazione del rischio si possono quindi utilizzare scale di valutazione della gravità e probabilità del danno.

Alle variabili gravità e probabilità possono essere attribuiti dei valori numerici, il cui prodotto corrisponde al valore del rischio.

Da notare come tale approccio, basato su stime di tipo numerico, non superi completamente l'arbitrarietà nella valutazione del rischio, in quanto l'attribuzione dei punteggi per gravità e probabilità è basata sempre su considerazioni personali, seppur scaturite da analisi dei dati, informazioni e bibliografia disponibile.

  1. La fase di qualifica è strettamente correlata alla fase iniziale di selezione e verterà principalmente sulla redazione e compilazione dell'elenco dei fornitori qualificati.

L'elenco comprenderà i dati relativi al fornitore qualificato, la tipologia di fornitura, il punteggio ottenuto in fase di selezione (se utilizzato come parametro dall'impresa alimentare) e lo stato di validità della qualifica.

Immagine 1. Esempio di foglio di calcolo per la valutazione del rischio
  1. La fase di monitoraggio e mantenimento chiude idealmente la procedura di gestione e implicitamente comprende il processo di rivalutazione del fornitore.

Il monitoraggio del fornitore è attività che può essere condotta mediante controllo diretto sugli approvvigionamenti (es. ispezioni visive sullo stato igienico-sanitario della materia prima, controllo delle temperature di trasporto per deperibili), tempo di evasione dell'ordine, analisi condotte in sede di autocontrollo, verifiche interne di laboratorio in fase di accettazione (vedi test farinografici-alveografici, test rapidi per micotossine e così via), analisi dei reclami da parte dei clienti, etc.

Gli esiti del monitoraggio devono essere poi attentamente valutati dall'azienda (magari annualmente), all'uopo di determinare se un fornitore può mantenere lo status di qualificato oppure no.

Non esistono prescrizioni in merito al mantenimento della qualifica da parte del fornitore.

Indubbiamente sarebbe utile valutare il fornitore in base alla gravità della non conformità per un dato approvvigionamento.

Non conformità che possono essere sia di tipo igienico-sanitario che di tipo economico; starà all'azienda stabilire le proprie priorità e il target più appropriato, indi definire la scala di gravità.

 

Leonardo Francesco de Ruvo

 

 

 

1 - I BATTERI COMUNICANO TRA DI LORO.

Non si può dire che parlino o cantino, così come accade all’uomo o come fanno (in modo più elementare) delfini e balene, ma certo si scambiano informazioni rilasciando nell’ambiente una serie di messaggi che i loro consimili percepiscono. Per esempio, i batteri periodicamente fanno il censimento della popolazione e tastano il terreno, ossia verificano praticamente in tempo reale le condizioni dell’ambiente che li circonda, sia esso l’ambiente esterno o l’interno di un essere animato come una pianta, un animale o l’uomo stesso. In questo contesto i batteri producono e rilasciano nell’ambiente circostante alcuni composti chimici specifici che fungono da trasmettitori del messaggio; altri batteri li captano, li interpretano e rispondono producendo a loro volta dei messaggi, diciamo così, odorosi. Nella società dei corrono costantemente dei segnali chimici, molecole di piccole dimensioni simili agli anticorpi e chiamati autoinduttori. Queste molecole si accumulano al di fuori delle singole cellule microbiche, ma finché la carica microbica è bassa e diluita nell’ambiente esterno non succede nulla. Quando però la stessa popolazione si accresce e supera un certo livello (un quorum, visto come numero legale per una votazione) le molecole che si sono accumulate possono innescare una serie di eventi che si succedono per lo più con effetto “a cascata” determinando qualche reazione o qualche effetto. Questo sistema di comunicazione è chiamato, appunto, quorum sensing.

2 - MIELE E BOTULISMO INFANTILE

È ormai diffusa tra le mamme e tra i pediatri la precauzione di evitare il consumo del miele in bambini fino al raggiungimento di un anno di età, per prevenire il botulismo infantile. Il botulismo infantile, contrariamente a quello alimentare, non è un’intossicazione, in quanto la tossina viene prodotta in particolarissime e rarissime circostanze nell’intestino del neonato e quindi viene assorbita provocando l’insorgenza della malattia. La fonte del botulismo infantile quindi non è la tossina ma le spore, che si trovano naturalmente nell’ambiente e nella polvere e che possono venire a contatto anche con il neonato. La loro germinazione, moltiplicazione e conseguente produzione di tossina nell’intestino sembrerebbe possibile solo grazie ad un dismicrobismo intestinale (alterazione del numero totale dei microrganismi costituenti la flora microbica intestinale e del rapporto tra le varie specie naturalmente presenti nell’intestino) che ridurrebbe il normale effetto antagonista della popolazione intestinale autoctona nei confronti dei clostridi produttori di tossine botuliniche.

3 - LARVE DI TRICHINELLA SPIRALIS E COTTURA A MICROONDE

L’efficacia della cottura a microonde nella distruzione delle larve di T. spiralis è stata studiata da diversi gruppi di ricerca. In uno studio orientato alla produzione domestica – nel quale la maggior parte degli arrosti di maiale infestati da trichine veniva cotto in forni a microonde in base al tempo piu che alla temperatura, Zimmerman e Beach hanno trovato che su 51 prodotti (48 arrosti e 3 braciole di maiale) cotti in 6 forni diversi 9 rimanevano infettivi; di questi, 6 non avevano raggiunto la temperatura di 76,7 °C e 3 l’avevano superata in qualche punto del ciclo di cottura. I ricercatori hanno sottolineato che la carne di maiale infestata sperimentalmente utilizzata nello studio proveniva da maiali infettati con 250.000 T. spiralis, che avevano prodotto circa 1000 trichine per grammo di tessuto rispetto a circa 1 trichina per grammo che normalmente si trova nei maiali infettati naturalmente. La cottura della carne di maiale in forni a microonde costituisce evidentemente un motivo di preoccupazione in relazione alla distruzione delle larve di trichinella.

4 - ENTOMOFAGIA: ASPETTI NUTRIZIONALI

Sebbene finora pochi studi abbiano analizzato le caratteristiche nutrizionali degli insetti e il loro metabolismo negli esseri umani (AA.VV., 2013), è generalmente riconosciuto che essi siano una fonte di cibo nutriente. In generale, gli insetti forniscono energia, proteine, amminoacidi e acidi grassi essenziali benefici per la salute umana, mentre il contenuto di grassi può variare ampiamente tra 7 e 77g per 100 g di peso secco (Belluco et al., 2013). Infine, anche il contenuto di fibre e micronutrienti (vitamine e minerali) è molto elevato (Halloran et al., 2015). Come per molti altri animali, i valori nutrizionali possono variare significativamente da specie a specie, dallo stadio di vita e dal substrato con cui vengono alimentati.

5 - ESISTE UNA “DOSE TOLLERABILE” DI ACRILAMMIDE?

L’acrilammide e la glicidammide, suo metabolita, sono genotossiche e cancerogene. Dal momento che qualsiasi livello di esposizione a una sostanza genotossica potenzialmente ha la capacità di danneggiare il DNA e far insorgere il cancro, gli scienziati dell'EFSA hanno concluso di non poter stabilire una dose giornaliera tollerabile (DGT) di acrilammide negli alimenti. In luogo di ciò gli esperti dell'EFSA hanno stimato l’intervallo di dosaggio entro il quale è probabile che l’acrilammide causi una lieve ma misurabile incidenza di tumori ("effetti neoplastici") o di altri potenziali effetti avversi (neurologici, sullo sviluppo pre e postnatale e sul sistema riproduttivo maschile). Il limite inferiore di questo intervallo viene detto limite inferiore dell’intervallo di confidenza relativo alla dose di riferimento (BMDL10). Per i tumori gli esperti hanno scelto un BMDL10 di 0,17mg/kg pc/giorno. Per altri effetti, i mutamenti neurologici più pertinenti al caso sono stati osservati con un BMDL10 di 0,43 mg/kg pc/giorno. Confrontando il BMDL10 all’esposizione umana all’acrilammide, gli scienziati sono in grado di indicare un “livello di allarme per la salute” noto come “margine di esposizione”.

6 - MORTALITÀ DA LISTERIOSI

La listeriosi umana presenta  tassi di mortalità che possono arrivare fino al 30-40% dei soggetti colpiti, valore che supera quello di altri agenti di malattia alimentare come Salmonella spp. e che si avvicina a quelli di Clostridium botulinum (i cui tassi di mortalità possono andare dal 20-30% fino al 70-80% delle persone colpite). A differenza del botulismo, però, la listeriosi è una malattia alimentare piuttosto frequente: si stima che la sua incidenza tra la popolazione sia di circa 0,7-1 caso/100.000 abitanti se si prendono in considerazione le persone in normali condizioni di salute (soggetti immunocompetenti). Tuttavia, la probabilità di contrarre l’infezione dagli alimenti è tre volte maggiore per le persone con più di 70 anni di età e sale a oltre 17 volte per le donne in gravidanza e i soggetti con compromissione delle difese immunitarie (Siegman-Igra et al., 2002).

7 - MAI LAVARE IL POLLO PRIMA DI CUCINARLO

La FSA ritiene infatti che quando il pollo crudo viene lavato, il Campylobacter, batterio solitamente presente nell’apparato gastroenterico del pollo, può diffondersi repentinamente attraverso gli schizzi d’acqua generati col lavaggio di pollame, oche, anatre e fagiani. La proliferazione del Campylobacter porta alla contrazione della  campylobatteriosi, una malattia che colpisce l’apparato digerente dell’uomo che si manifesta con specifici sintomi, quali diarrea, dolori addominali, vomito e nausea, e nei casi più gravi, mal di testa e febbre. Il batterio potrebbe essere tuttavia eliminato attraverso una cottura a puntino delle carni a patto però che il pollo passi dal frigo direttamente in padella o in forno. Altro passaggio da seguire con meticolosità è quello di lavare per bene il tagliere, i coltelli e altri eventuali utensili impiegati durante la preparazione.

8 - LE BATTERIOCINE NON SONO ANTIBIOTICI

Molti batteri, sia Gram positivi che Gram negativi possono produrre composti di natura proteica (vere proteine o piccoli peptidi) che manifestano attività antimicrobica. Questi composti sono stati chiamati batteriocine. Le batteriocine possono somigliare, come effetto, a un antibiotico, ma non sono da considerare veri antibiotici. Fra le prime e i secondi, infatti, vi sono alcune importanti differenze:

- le batteriocine sono efficaci contro ceppi di batteri che appartengono alla stessa specie che produce le batteriocine o al massimo contro ceppi di specie affini alla specie produttrice. Un antibiotico, invece, può essere efficace contro batteri di varie specie anche molto differenti l’una dall’altra;

- le batteriocine sono prodotte dai ribosomi dei batteri e la loro sintesi avviene nella fase di crescita primaria, mentre gli antibiotici sono di solito dei metaboliti secondari dei microrganismi;

- le batteriocine sono composti quasi sempre di piccolo peso molecolare e sono facilmente degradate da enzimi proteolitici, soprattutto quelle presenti nell’intestino dei mammiferi. Questo le rende praticamente innocue per uso alimentare umano, mentre altrettanto non può dirsi per gli antibiotici.

9 - QUANTA CAFFEINA CONSUMIAMO?

Le assunzioni quotidiane medie, pur variando a seconda degli Stati membri, sono comprese nelle seguenti fasce:

Molto anziani (75 anni e più): 22-417 mg

Anziani (65-75 anni): 23-362 mg

Adulti (18-65 anni): 37-319 mg

Adolescenti (10-18 anni): 0,4-1,4 mg/kg pc

Bambini (3-10 anni): 0,2-2,0 mg/kg pc

Bambini piccoli (12-36 mesi): 0-2,1 mg/kg pc

Nella maggior parte delle indagini i cui dati sono confluiti nella banca dati EFSA sui consumi di alimenti, la fonte predominante di caffeina per gli adulti era il caffè, rappresentando tra il 40% e il 94% dell’assunzione totale. In Irlanda e Regno Unito la fonte principale è risultata il tè, che rappresentava rispettivamente il 59% dell’assunzione totale di caffeina nel primo Paese e il 57% nel secondo. Ci sono grosse differenze tra i Paesi per quanto riguarda il contributo delle diverse fonti alimentari al totale della caffeina assunta dagli adolescenti. Il cioccolato è risultato essere la fonte numero uno in sei sondaggi, il caffè in quattro sondaggi, le bevande a base di cola in tre, e il tè in due. Nella maggior parte dei Paesi il cioccolato (che comprende anche le bevande a base di cacao) è stata la fonte principale di caffeina per i bambini dai 3 ai 10 anni, seguito da tè e bevande alla cola. Un motivo delle differenze nei livelli di consumo – a parte le abitudini culturali – è la concentrazione variabile di caffeina riscontrata in alcuni prodotti alimentari. Le concentrazioni nelle bevande a base di caffè dipendono dal processo produttivo, dalla varietà di chicchi di caffè usati e dalle modalità di preparazione (per es. caffè americano, espresso). I livelli riscontrati nelle bevande a base di cacao variano a seconda della quantità e del tipo di cacao usato dalle varie marche.

10 - SPECIFIC SPOILING MICRO-ORGANISM (SSO)

Gli SSO sono un gruppo molto eterogeneo di batteri, lieviti e muffe; se in un alimento trovano le condizioni idonee per moltiplicare a dismisura, gli SSO con i loro enzimi (endogeni e/o esogeni) possono degradare i componenti dell’alimento modificandone le caratteristiche in modo sgradevole ai nostri sensi, tanto da fare giudicare il prodotto come “alterato”, “deteriorato”, “in putrefazione”. In generale si ammette che un alimento qualunque cominci a manifestare modificazioni evidenti di uno o più caratteri sensoriali quando sulla sua superficie o al suo interno la carica microbica supera le 107-108 ufc/g o /cm2.

Bisogna, però, specificare subito un concetto: gli alimenti si deteriorano NON perché al loro interno la carica microbica cresce in modo omogeneo e disordinato; una parte dei microrganismi che formano la flora microbica, sotto l’effetto dei vari fattori del substrato non riesce a duplicare, mentre altri trovano nella matrice le adatte condizioni di pH, Aw, tensione parziale di ossigeno e temperatura che li favoriscono. Sono questi ultimi gruppi di microrganismi che prendono il sopravvento sugli altri e, moltiplicando a dismisura, fanno andare a male il prodotto. Ecco perché è corretto sostenere che le alterazioni microbiche degli alimenti sono provocate dall’eccessiva proliferazione di solo alcuni gruppi di microrganismi (a volte solo un tipo di batterio o di lievito o di muffa!). E questi microrganismi che, prendendo il sopravvento sugli altri, riescono a deteriorare il prodotto sono chiamati, appunto, “agenti specifici di putrefazione” (in inglese Specific Spoiling micro-Organism SSO).

 

Giovanni Romano

La strada dell’uomo verso la conquista della “sicurezza alimentare” è stata molto lunga e tempestata di episodi che hanno lasciato una scia di sofferenza e di morte. Cenni storici sulla sicurezza alimentare risalgono a 12-15.000 anni fa, quando l’uomo di Cro-Magnon morì vittima di un’intossicazione alimentare provocata da una malattia delle graminacee.

È difficile ipotizzare quanto tempo ci sia voluto affinché gli uomini riuscissero a individuare e quindi ad eliminare dai loro pasti l’erba incriminata o quante vittime ci siano state prima che l’uomo preistorico potesse differenziare i funghi commestibili da quelli velenosi.

Per soddisfare la propria fame, l’uomo ha dovuto correre continuamente rischi spesso anche mortali. Curioso è l’episodio capitato ai soldati greci che facevano parte della spedizione di Ciro il Giovane contro il fratello Artaserse, re di Persia, nel 401 a.C..

Conclusasi tragicamente la spedizione con la morte di Ciro, i Greci dovettero intraprendere una lunga e difficile marcia, dalla Babilonia al Ponto, e nell'ultima fase della marcia arrivarono, una sera, stanchi ed affamati a Trebisonda, sulla riva del mar Nero, ai piedi delle boscose montagne del Ponto, dove trovarono una grande quantità di miele su cui si gettarono affamati. Purtroppo, soprattutto coloro che ne avevano mangiato di più, andarono incontro a una forma di avvelenamento con sintomi a carico dell’apparato gastro-enterico, ma anche con vertigini, offuscamento della vista e fenomeni di incoscienza.

Oggi sappiamo che tale avvelenamento era legato al nettare fornito alle api da alcune specie di azalee, di rododendri, di oleandri e forse di allori montani che contengono un veleno, la graianotossina, responsabile dell’episodio.

La graianotossina (conosciuta in passato come andromedotossina, acetilandromedolo e rodotossina) causa appunto l'intossicazione da miele. Questa forma di intossicazione è molto rara.

Altri termini che definiscono questa malattia sono: avvelenamento da rododendro, intossicazione da miele pazzo o avvelenamento da graianotossine.

Altro episodio legato al miele viene ricordato durante la guerra di secessione americana, quando un gruppo di soldati lamentò manifestazioni molto gravi a carico del sistema nervoso a seguito dell’ingestione di miele prodotto da api che avevano bottinato su fiori di Datura. Nel miele si erano verosimilmente accumulati gli alcaloidi della Datura (scopolamina, atropina e iosciamina).

Attualmente, in Turchia, nonostante tali conoscenze siano diffuse da secoli, il "miele pazzo" ha ancora estimatori. La diffusa medicina tradizionale locale, infatti, lo prescrive come un buon rimedio per i dolori di stomaco, l'ipertensione e (sopratutto) le difficoltà sessuali.

Nel 2002, ad esempio, 19 soggetti (tra cui 12 uomini) dovettero essere ricoverati per aver ingerito tale alimento. Sottoposti ad esami clinici, tutti i pazienti (età compresa tra i 22 ai 16 anni) mostrarono i tipici sintomi: nausea, vomito, caduta della pressione arteriosa e bradicardia (riduzione del ritmo cardiaco).

Quello che una volta era un problema locale di alcune zone montuose della Turchia oggi si sta internazionalizzando. Gli osservatori medici riportano infatti già casi d'intossicazione in Svizzera, Austria e Germania.

Anthony Scorzelli 

Frutta e verdura ricoprono un pasto essenziale nella nostra dieta mediterranea, cruda o cotta, confezionata o sfusa il nostro paese è un gran produttore e consumatore di questi alimenti (la Puglia con circa 98.000 ha è il primo posto per superficie destinata a colture ortive, seguita dalla Sicilia e dall’Emilia Romagna).

Nonostante ci sia stato un decremento del consumo di ortofrutta dagli anni ’90 ad oggi calcolato per circa il -22% si è evoluti nelle tecniche di produzione e confezionamento degli stessi.

Capiamo le differenze di “gamme”

I gamma – ortaggi sfusi, nella loro preparazione tradizionale

II gamma – ortaggi in barattolo, conserve e semi conserve

III gamma - ortaggi surgelati

IV gamma – ortaggi preparati, lavati, freschi e confezionati

V gamma – ortaggi precotti, grigliati o scottati.

Origini

La comparsa dei prodotti di IV gamma si è presentata per la prima volta negli Stati Uniti durante gli anni ’60, gli anni ’80 rappresentarono un periodo di grande importanza assumendo caratteristiche di praticità d’uso e salubrità, chiamandoli “ready to eat”. In Europa il primo timido tentativo di introduzione di questa categoria di prodotti avvenne negli anni ’80 in Francia prendendo il nome di “GAMME”, poi nel Regno Unito “FRESCH CUT”, Germania, Svizzera ed Italia con denominazione “FRESCHI PRONTI AL CONSUMO”. La Lombardia è la regione a consumare in maggior misura prodotti di IV gamma per quantitativo  di aziende di trasformazione e stile di vita.

È la legge del 13 maggio 2011 n. 77 che ci da la corretta definizione di prodotti di IV gamma: si definiscono prodotti ortofrutticoli di quarta gamma i prodotti ortofrutticoli destinati all'alimentazione umana freschi, confezionati e pronti per il consumo che, dopo la raccolta, sono sottoposti a processi tecnologici di minima entità atti a valorizzarli seguendo le buone pratiche di lavorazione articolate nelle seguenti fasi: selezione, cernita, eventuale monda e taglio, lavaggio, asciugatura e confezionamento in buste o in vaschette sigillate, con eventuale utilizzo di atmosfera protettiva.

I prodotti ortofrutticoli di quarta gamma possono essere confezionati singolarmente o in miscela, in contenitori di peso e di dimensioni diversi. È consentita l'eventuale aggiunta, in quantità percentualmente limitata (40% in peso del prodotto finito), di ingredienti di origine vegetale non freschi o secchi.

I prodotti maggiormente acquistati sono le insalate circa 86% (monovarietali o plurivarietali), rucola, carote ecc… la destinazione principale della IV gamma è la GDO, mense scolastiche e ospedali.

I produttori oltre a rispettare le fasi di lavorazione del prodotto  devono garantire una temperatura degli ambienti di lavoro di 14°C e che la temperatura delle celle di conservazione delle materie prime, semi lavorati, prodotti finiti deve essere inferiore agli 8°C.

Informazioni specifiche da riportare sulla confezione:

Oltre le diciture obbligatorie in materia di etichettatura del Reg. CE 1169/2011, vediamo le indicazione specifiche (attuazione dell'articolo 4 della legge 13 maggio 2011, n. 77, Art.8):

  1. a) in un punto  evidente  dell'etichetta,  in  modo  da  essere facilmente visibili e chiaramente leggibili: "prodotto lavato e pronto per il consumo", o  "prodotto lavato e pronto da cuocere".  Il termine "prodotto" puo' essere sostituito da una descrizione piu' specifica dello stesso;
  2. b) le istruzioni per l'uso per i prodotti da cuocere;
  3. c) la  dicitura:  "conservare  in  frigorifero   a   temperatura inferiore agli 8°C";
  4. d) la dicitura: "consumare entro due giorni dall'apertura  della confezione e comunque non oltre la data di scadenza". Tale  dicitura non  si  applica  ai  prodotti  lavati  e  pronti  da  cuocere  nella confezione integra.

Requisiti igienici

Durante il processo di lavorazione i prodotti ortofrutticoli di quarta gamma devono essere sottoposti ad almeno due cicli di lavaggio.

In conformità a quanto stabilito dal Regolamento (CE) n. 2073/05 e dalla Determinazione della Conferenza Permanente Stato-Regioni del 10 maggio 2007, i seguenti criteri costituiscono requisiti igienici dei prodotti ortofrutticoli di quarta gamma

Requisiti sanitari

Nel rispetto del Regolamento (CE) n. 2073/2005, Allegato 1, i prodotti ortofrutticoli di quarta gamma pronti per il consumo, devono rispettare i seguenti requisiti sanitari:

Carmen Tarantino